Le Azioni sono tutte quelle attività che compiano giorno dopo giorno per conquistare i nostri obiettivi e raggiugne i nostri Scopi

Il primo pilastro della mia impresa l’RxP

Il primo pilastro della mia impresa l’RxP

Sei soddisfatto o soddisfatta del tuo team? Mai sentito parlare di Rxp?

Oggi andiamo avanti nella nostra esplorazione sull’innovazione, facendo un passo indietro ed uno di lato per guardare l’azienda ai raggi X e fare un radiografia della sua struttura. Quindi, vediamo alcuni elementi fondamentali e domandiamoci se li prendiamo in considerazione o meno..
Le parole d’ordine di oggi sono

semplicità, chiarezza, e crescita.

Partiamo da una delle colonne portanti su cui poggia ogni impresa, ma voglio iniziare con una richiesta:

Alzi la mano chi vuole far crescere il proprio business e renderlo stabile e forte.

Ok vedo che ci sono tante mani alzate.. fantastico perché il nostro viaggio ci porterà a considerare gli elementi che sostengono le nostre aziende o che vorremmo che lo facessero…

Il primo pilastro da piantare fermamente nel terreno è che un’azienda è composta dalle persone che ne fanno parte e che si sono riunite intorno all’idea dell’imprenditrice o dell’imprenditore..

Ti chiedo: sei soddisfatto o soddisfatta del tuo team? 

Qualunque risposta tu abbia dato sappi che significa:

come mi sento è il frutto delle mie scelte e della mia chiarezza.

Abbiamo analizzato nell’articolo e nel podcast su come gestire l’impresa per realizzare grandi cose (se non hai letto l’articolo o sentito il podcast ti consiglio vivamente di farlo) come un imprenditrice o un imprenditore sia responsabile delle sue scelte e delle azioni del proprio team, quindi se non ne sei soddisfatta o soddisfatto, inizia a pensare a cosa non hai comunicato in maniera chiara e sfrutta il momento per gettare le basi del miglioramento.

Adesso però entriamo più nel tecnico introducendo, grazie alle idee di Daniel Priestley, un misuratore delle nostre attività che possiede tutte e tre le parole d’ordine di oggi, parliamo del Revenue per Person che, per chi non mastica l’inglese o non apprezza gli inglesismi significa Ricavi per Persona (da adesso RxP). Questo indicatore prende il volume d’affari e lo divide per il numero di persone che compongono l’azienda.

Sento già le opposizioni di chi tra voi è più tecnico e dice che una divisione di questo tipo è troppo grossolana e non è un indicatore efficiente, perché le persone sono impiegate in diversi reparti e hanno funzioni produttive differenti e così via.

A queste persone rispondo.. che hanno perfettamente ragione, ma anche che la mentalità imprenditoriale, soprattutto se non è stata formata ad un certo tipo di analisi, vuole soluzioni veloci che possano dare un’immediata visione della propria situazione aziendale. Per questo il misuratore RxP è inizialmente un ottimo indicatore di performance.

Adesso facciamo un passo in avanti partendo da una domanda che sicuramente gira nella mente di molti.. quale è un giusto RxP?

Ma prima di rispondere desidero raccontarvi uno dei principi che sta alla base del lavoro del team dell’Evolving Project: il principio dell’apprendimento esperienziale.

Ok forse il concetto potrebbe non essere così immediato, mi spiego… per noi significa imparare ponendo domande e facendo ipotesi che si trasformano in esperienze e verifiche. Una volta che una persona ha attraversato queste fasi di lavoro la sua conoscenza appartiene solo a lei o a lui; non è il frutto di una trasmissione tecnica e univoca come quella che avviene ad una lezione frontale. Nei nostri corsi non sarete mai passivi ascoltatori, noi lavoriamo sulla formazione e la consulenza partecipata partendo dall’idea di avere solo 4 slide, che significa che non prepariamo slide per i nostri corsi di formazione, ma intercettiamo e discutiamo i bisogni delle persone e modifichiamo i nostri percorsi per farli diventare come una consulenza personalizzata…

Ok finita questa digressione ideologica vediamo insieme di capire come individuare il giusto valore di RxP.

Facciamo un cammino per piccoli passi; se la mia azienda ha un volume d’affari di 100.000€ e 3 collaboratori più l’imprenditrice o l’imprenditore allora l’RxP sarà €25.000 a testa.

Facciamoci una domanda: è una buona rendita?

Riflettici con attenzione.. quale è il compenso mensile del collaboratore? È a tempo pieno o part-time. Ovviamente se è part-time il valore a persona va riproporzionato per la percentuale di part-time.

La persona ripaga il suo stipendio con il suo lavoro?

Quale è il margine un volta sottratti gli stipendi dei collaboratori o delle collaboratrici?

E’ sufficiente per pagare gli altri costi?

Ecco già da queste prime battute abbiamo fatto un grandissimo lavoro di analisi sulla struttura di un’impresa in maniera semplice.

A questo punto, avendo smosso le acque cos’è successo? Abbiamo stimolato la curiosità a sapere di più a dettagliare meglio i diversi aspetti della nostra analisi, a spronare tutti verso più ricche ed approfondite riflessioni.

Questo è il successo di passare da concetti semplici, che tutti possono usare, a analisi più ricche e approfondite.. Ci basiamo sulla curiosità, sul desiderio e sulla voglia di sapere di più, questi sono gli stimoli che vogliamo creare grazie al nostro lavoro.

Tornando all’esempio, i 4 collaboratori per un volume d’affari di 100.000€ potrebbero essere troppi e creare difficoltà soprattutto nelle attività di investimento e crescita per mancanza di margini.

Vediamo adesso, sempre secondo il Priestely pensiero, come suddividere le diverse tipologie di imprese in base al numero di persone del team e al loro RxP.

La prima espressione di ogni impresa è la startup che parte dall’idea di qualcuno e dal suo desiderio ed entusiasmo. Propone idee, piani, prototipi e Vione e si aspetta una ricompensa economica per costruire la propria indipendenza. Di solito parliamo di una persona o un piccolo gruppo che parte all’avventura. In questo caso non abbiamo RxP perché l’avventura è solo all’inizio.

Il passaggio successivo è chiamato la natura selvaggia (wilderness) in cui i fondatori che hanno costituito l’azienda lanciano il business in modello sopravvivenza lavorando da soli basando tutto sulle proprie forze. Questa è la fase in cui si lavora duro senza risparmiarsi e risparmiare nulla (se si crede veramente all’idea). E’ un momento duro sia dal punto di vista fisico, mentale ed emotivo, pensa che circa l’80% di queste attività non riesce ad assumere qualcuno.

Poi abbiamo la boutique in difficoltà composta da 3-12 persone con un RxP molto basso. In questa fase abbiamo la prima costituzione di un team con bassi salari e profitto contenuto. La difficoltà è quella di scambiare tempo per soldi rimanendo spesso prigionieri di lavori che servono per pagare le spese correnti piuttosto che fare investimenti.

Segue la boutique da stile di vita composta da 3-12 persone che lavorano con energia e cultura imprenditoriale in una struttura dal basso mantenimento economico. Il team è auto-organizzato e sfrutta strumenti digitali per raggiungere le persone a livello globale solitamente il business appare più grande di quello che effettivamente è. I titolari hanno un buono stipendio e maggiore libertà, più impatto e meno stress. Spesso il business è focalizzato su personalità forti e con idee innovative.

Dopo questa tipologia di impresa si trova il deserto formato da imprese che contano dai 13 ai 49 dipendenti e sono nella fase di scalabilità. Si trovano ad essere troppo grandi per essere piccoli ma troppo piccoli per essere grandi. Gli investimenti assorbono la maggior parte delle risorse e l’attività richiede leader e manager per essere gestita ma non ha ancora il volume d’affari per permetterseli. In questa fase è difficile produrre margini importanti.

La fabbrica formata da più di 50 persone è il risultato di una selezione delle migliori teste in cui il business è sempre sul limitare delle difficoltà finanziarie, che indica un basso RxP, ma si avvia verso una maggiore struttura e dimensione. Non ci sono disavanzi per dare premi a chi lavora al meglio. La speranza di crescita è legata alla creazione di un percorso che rafforzi i pilastri e le attività per uscire dalla prospettiva una vita difficile sempre alla rincorsa degli strumenti finanziari per andare avanti.

L’azienda da Performance che ha dai 50 ai 150 dipendenti ed è la fabbrica che è stata in grado di trovare la chiave di volta per la sua crescita. E’ dinamica e assume lavoratori professionali e capaci, possiede ottime qualità nella gestione del business e crea un altro RxP. La cultura, il brand e i sistemi di produzione sono strutturati per seguire più tipologie di mercato e a livelli internazionali. Il profitto è buono e legato ad una strategia sviluppata bene. I titolari possono beneficiare di ottimi guadagni o pensare ad una exit strategy per godersi il frutto del meritato lavoro.

Le start-up che realizzano grandi cose sono chiamate Unicorni e sono aziende che contano più di 250 dipendenti con un altissimo RxP. Sono costituite da team che si sono trovati nel posto giusto al momento giusto come Facebook, Uber, Tesla per dirne alcuni. Posso raggiungere incredibili obiettivi e spaziare in diversi settori e attività.

L’ultima tipologia di impresa sono le Corporation che contano più di 250 dipendenti e sono radicate ormai nei mercati di riferimento. Sono enormi agglomerati di attività con tante persone che spesso ripetono le stesse operazioni. Hanno consolidato le loro posizioni e spostano i riferimenti in base alle loro azioni. In queste aziende il RxP è buono ma strutturato in maniera molto gerarchica.

La nostra cavalcata per introdurre uno dei più importanti pilastri e sistema di misurazione delle nostre imprese è giunto al termine, prendetevi un momento per riflettere sulle vostre attività e sul vostro RxP per poi passare alla domanda, che tipo di business ho?

Raccontateci la vostra storia e condividetela sui nostri canali Linkedin e Facebook.

 

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Innovazione e comunicazione

Innovazione e comunicazione

Progettare oggi quello che sarà il domani dell’impresa

Partiamo dal concetto di innovazione: un prodotto o un servizio che fornisca una soluzione nuova ai problemi del consumatore, sia migliorando le soluzioni esistenti proposte dai concorrenti, sia aggiungendo una funzione nuova o diversa.

Adesso pensiamo agli elementi che costituiscono l’innovazione: un bisogno da soddisfare o una funzione da espletare; il concetto di oggetto o di entità che soddisfa il bisogno; l’insieme degli input che comprendono le conoscenze esistenti, materiali e tecnologiche disponibili, che danno modo al progetto di diventare operativo.

In questo quadro, è logico pensare che un’innovazione si basi sull’ascolto del bisogno del proprio target (analisi big data) e che, a seguito di questa stuoli di ricercatori mettano in pratica la loro esperienza per tirare fuori idee/prodotti/servizi che possano rispondere alla chiamata “innovazione market-pull”. Siamo di fronte alla logica del bottom-up  che puoi approfondire cliccando qui .

L’ attenzione all’ascolto del target per lo sviluppo di innovazione è l’unica strategia che può “costruire” il palazzo della tua impresa.

È tramite l’ascolto che puoi prevedere le tempeste e interpretare i desideri del tuo mercato. Pensiamo al recente periodo di lockdown: solo le aziende che si sono adeguate alle necessità del loro pubblico sono state in grado di sopravvivere al grande Covid-tsunami.

Mi spiego meglio: pensa a chi aveva un negozio fisico e una presenza sui social intermittente, ad un certo punto l’8 marzo del 2020 ha visto, proprio come succede all’arrivo di uno tsunami, l’acqua ritirarsi sotto i propri piedi e da quel momento, ha avuto pochissimo tempo per capire ed adeguarsi al cambiamento; ed ecco, che il piccolo negozio ha attivato l’e-commerce, la consegna a domicilio, ha imparato cosa significa attenzione al clienti proteggendo il proprio business ed adeguandosi al cambiamento. Il grande tsunami ha portato distruzione e collasso ma chi è rimasto in piedi ha imparato una grande lezione: adattamento e innovazione digitale.

Chi ha mantenuto saldo il suo palazzo ha disgregato i concetti di presenza intermittente sui social, ha abbattuto la barriera del passa parola, ha creato connessioni dirette con il proprio target (CRM). Ha risposto con “innovazione technology-push” ovvero azioni proattive spesso con innovazioni di rottura, anticipando la domanda di mercato, creata ad hoc da azioni di marketing mirate.

In questa ottica e in questo nuovo scenario post (o quasi) – tsunami, i presidi digitali del brand (social, sito, app) non si limitano ad avere il ruolo e la funzione di mera vetrina ma, diventano strumenti di dialogo aperto e soprattutto ascolto da cui trarre informazioni per la realizzazione delle proprie azioni strategiche.

Bello, chiaro ed evidente. Ma quali carte sono da giocare per l’innovazione digitale?

  • La personalizzazione dei contenuti è la prima strategia da mettere in atto per vincere la saturazione del mercato.

I contenuti personalizzati emergono dall’analisi delle preferenze, la cronologia degli acquisti e della navigazione online tramite la lettura critica di questi dati è possibile segmentare il target in modo molto efficace e creare contenuti ad hoc.

  • La chat bot: queste stringhe di codice, opportunatamente istruite, sono essenziali per raccogliere i pareri dei clienti (o dei prospect) e i feedback . È diventato naturale interagire on line con una macchina, per lo meno per quel che riguarda la richiesta di informazioni oppure lo svolgimento di compiti semplici.
  • L’ Intelligenza artificiale:  diciamo un “chat bot molto evoluto”che permette di avviare in modo proattivo conversazioni con i clienti ma anche di abbattere i costi di Customer Service.

(Nota: da un recente studio di Juniper Networks emerge che i chatbot aiuteranno infatti i rivenditori a ridurre i costi relativi ai Customer Center di $439 miliardi all’anno e ad aumentare le vendite di $112 miliardi entro il 2023).

  • La realtà aumentata (AR) e la realtà virtuale (VR) sono esplose in popolarità negli ultimi anni e stanno rapidamente diventando uno dei principali trend del marketing management 2021. Strumenti efficaci per creare enorme buzz intorno al marchio, convogliando molte persone in un luogo solo, ma anche per sviluppare contenuti interattivi, coinvolgenti e possibilmente virali.
  • Gli influencer, e soprattutto i micro-influencer, voci affidabili e riconoscibili da scegliere in linea con i propri valori e da coinvolgere attraverso partnership durature.

Nota che merita un discorso a parte soprattutto in riferimento ai grandi brand (ma non solo, ecco piccolo spunto di riflessione: se una piccola attività crea una strategia per cui ad ogni “prodotto venduto” l’azienda “pianta un albero” sono più propenso a comprare lì piuttosto che da un altro che ha il medesimo prodotto)  è far conoscere l’impatto che hanno sul mondo comunicando con trasparenza le attività finalizzate alla promozione di un’economia più sostenibile a livello sociale e ambientale.

Se abbiamo parlato fino a  qui di “carte da giocare” per essere innovativi, torniamo alle tecniche di ascolto del target: non esiste più il concetto standard di pubblicazione di post in piano editoriale statico con rubriche scollegate dal contesto storico e sociale. Il gioco del Piano Editoriale deve avere come protagonista le carte di cui sopra.

La barriera del “cosa scrivo sulla pagina” non esiste più: chi pensa che mettere il solito post motivational con il povero Confucio  (povero perché è comparso almeno una volta su tutte le pagine social da chi tratta di Yoga a chi vende salami) sia un ottimo place holder e che mantenga la presenza del brand è destinato ad affogare sotto l’onda dello tsunami. È il prospect che detta le regole di pubblicazione, è l’ascolto delle abitudini, è dall’analisi delle risposte che il piano editoriale si sviluppa e che la comunicazione prende corpo.

Caro imprenditore ed imprenditrice non fare piani a lunga percorrenza (come è stato in uso finora) guarda lontano, alzati sull’orizzonte e diventa innovazione.

 

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Progetti per il futuro qual è l’impresa di domani?

Progetti per il futuro quale è l’impresa di domani?

Progettare oggi quello che sarà il domani dell’impresa

Albert Einstein ha detto: “La capacità di sollevare nuovi dubbi, di aprire nuove possibilità, di considerare vecchi problemi da una prospettiva diversa richiede un’immaginazione creativa, e rappresenta il vero progresso della scienza”.

L’imprenditoria affronta nuove sfide e nuovi paradigmi e oggi il concetto di innovazione è diventato una necessità legata ad un nuovo modo di fare impresa…

Innanzitutto partiamo da una definizione di cosa significa innovazione per poi vedere le tre caratteristiche delle imprenditrici e degli imprenditori innovativi.

L’innovazione è la capacità di riuscire a valutare un’ampia varietà di idee cercando di non scartare nessuna finché non hanno cominciato a prendere una forma coerente che spesso si manifesta in modi che nessuno avrebbe previsto né immaginato.

Detto questo le caratteristiche delle imprenditrici e degli imprenditori innovativi sono:

  1. Promuovere la volontà e la capacità di collaborare.
  2. Favorire un sistema interno che apprende dalle scoperte legate alla sperimentazione di differenti soluzioni
  3. Avere la capacità di prendere decisioni integrative che vuol dire possedere una grande capacità di astrazione e di utilizzo del pensiero laterale.

Uno dei miti da sfatare riguardo all’innovazione, come la capacità di vedere nuove connessioni in quello che già esiste, riguarda la convinzione che l’imprenditrice e l’imprenditore dell’innovazione siano geni visionari seguiti come guru dai propri lavoratori. In realtà queste figure non sono mai esistite, al massimo ci siamo identificati con le persone che rappresentano l’immagine dell’azienda. Se pensiamo ad esempio al simbolo dell’innovazione Steve Jobs, possiamo vedere che nei suoi grandi progetti come Apple e Pixar la sua grande capacità è stata quella di individuare le figure con cui create le sue imprese piuttosto che essere l’unico visionario al comando.

I veri promotori dell’innovazione sono quelle figure che sanno creare le condizioni, grazie alle quali, le persone che hanno scelto come collaboratori sono in grado di esprimere le loro migliori capacità. Come diceva Edison il genio è 1% ispirazione e 99% traspirazione.

La vera innovazione è il risultato di un’azione collettiva in cui le imprenditrici e gli imprenditori favoriscono la creazione di uno scambio e di un confronto, gestendo i conflitti e favorendo il riconoscimento delle singolarità che da vita ad idee innovative e che cambiano la realtà che ci circonda.

Un concetto fondamentale da conoscere è quello di paradosso!  Il paradosso è un buon amico dell’innovazione e rappresenta una verità che contiene elementi contraddittori ma che rimane comunque vera, è una proposizione formulata in apparente contraddizione con l’esperienza comune o con i principi elementari della logica, ma che all’esame critico si dimostra valida.

Parliamo di paradossi perché nell’innovazione spesso le attività da mettere in campo sembrano apparentemente contraddittorie ma come direbbe Shakespeare “c’è del metodo nella sua follia

La leadership dell’innovazione è una danza costante tra più elementi apparentemente contraddittori ma che si incontrano in costante mutamento nell’attività d’impresa che vuole generare nuove idee e progetti.

I due principali opposti che si trovano nel paradosso dell’innovazione sono:

Libertà VS Controllo

Il leader dell’innovazione deve saper lasciare totale libertà di azione alle persone che ha scelto come collaboratori, ma nello stesso tempo deve saper imporre un controllo per evitare la dispersione delle energie e delle idee che rischierebbe di portare al fallimento dei progetti. Ad esempio i due principali vincoli di un progetto creativo sono il budget ed il tempo impostare queste variabili in maniera ferrea permette di avere dei limiti che tutti possono capire. All’interno di queste variabili però è necessario lasciare libertà alle persone di rimettere sempre in discussione tutti gli aspetti fino a che non si sia raggiunto il livello considerato migliore da tutti. Detto questo però non dobbiamo rinunciare agli aspetti gerarchici che continuano ad essere parte del controllo e dei vincoli. All’interno del progetto esisterà sempre un referente che avrà l’ultima parola ma la sua competenza sarà necessariamente quella di saper ascoltare e considerare tutte le opzioni e le voci dei suoi collaboratori. Il ruolo di ultimo decisore è necessario per dare rotta e coerenza al progetto e per permettere a tutti di sapere quali sono i ruoli e le responsabilità, anche se nel processo questi si mescolano e scambiano, ecco un altro paradosso.

Altri aspetti per la realizzazione di un progetto innovativo sono:

Apprendimento per sperimentazioni successive VS Performance

La creatività e l’innovazione si manifestano attraverso la sperimentazione e una costante attività di prove ed errori, ma nello stesso tempo non è possibile lasciare indietro le performance. Questo paradosso permette di procedere per tentativi ma tenendo sempre presente e mirando ad uno standard che nasce dal confronto e dai limiti imposti dal progetto.

Ci vuole:

Pazienza VS Velocità

Un manager dell’innovazione deve poter gestire le diverse nature e espressione del suo team, i naturali e utili conflitti che nascono, i diversi punti di vista, le esperienze contraddittorie che risultano dalla sperimentazione per prove successive, ma nello stesso tempo deve favorire la velocità dei processi, ad esempio attraverso la gestione del conflitto e l’attenzione a non personalizzare i momenti di difficoltà. Velocità significa riuscire ad avere presenti le priorità e favorire così la focalizzazione anche delle persone con cui collaboriamo.

Un aspetto di fondamentale importanza è legato al paradigma:

Bottom-up VS Top-Down

E’ grazie alle informazioni che vengono dal basso che si può sprigionare la spinta all’innovazione collettiva e ampliare esponenzialmente i punti di vista e le possibili soluzioni, ma come abbiamo visto nel contesto del controllo questo deve essere anche riportato ad un sistema gerarchico che consolida la direzione e fa da collettore del flusso di informazioni e creatività che il gruppo riesce a generare. Una catena di ruoli rimane indispensabile per creare un flusso di informazioni da un livello ad un altro dell’impresa.

Abbiamo iniziato a vedere quelli che sono gli elementi fondanti quando vogliamo parlare di innovazione e ancora tanto ci sarà da dire su questo soggetto, ma per il momento possiamo iniziare a prendere queste informazioni e visualizzare le nostre strategie e modalità di messa in pratica perché è così che nasce l’innovazione.

L’innovazione come quell’attività che ci permette di raccogliere informazioni ed iniziare ad elaborare insieme alle nostre persone di fiducia per creare un immagine e dei processi che sono quelli che funzionano al meglio per noi e, chissà che una volta che li raccontiamo non siano la nuova possibilità che altri stavano cercando e che potrebbe cambiare la loro attività o ancora meglio la loro vita.

 

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Cosa spinge le persone ad agire

Cosa spinge le persone ad agire

I 4 driven della scelta e della decisione: cosa spinge le persone ad agire sia nel business che nella vita personale

Ci sono quattro elementi che guidano il pensiero e l’emozione di ogni persona e determinano le proprie azioni.

Conoscere questi elementi ci aiuta a comprendere cosa le persone vogliono e come darglielo. Più  “elementi guida” siamo in grado di applicare più interesse generiamo nei nostri interlocutori che siano clienti o collaboratori.

 

Paul Lawrence

Prima di addentrarci nell’analisi dei quattro elementi che guidano le azioni delle persone ti presento Paul Lawrence, professore emerito di comportamenti organizzativi all’ Harvard Business School, e Nitin Nohria decano alla Harvard Business School

I due studiosi, nel loro testo Driven – How Human nature shapes our Choices –  dichiarano che le nostre azioni sono guidate da quattro motivazioni biologiche: il desiderio di acquisire, di appartenere, di imparare e di difendere.

Quindi, per esprimere il potenziale della mia impresa al massimo, costruisco ogni lavoro e opportunità prendendo in considerazione le quattro dimensioni della motivazione creando così, l’opportunità per coinvolgere le persone in maniera completa.

Nitin Nohria

Ogni azienda ha due missioni implicite:

  • Aiutare i propri clienti
  • Creare un ambiente di lavoro che favorisca al meglio la realizzazione del primo

I quattro Driven possono essere studiati dal punto di vista dei nostri collaboratori e da quello dei nostri clienti permettendo così, grazie ad un’unica idea, di identificare le migliori strategie di coinvolgimento sia interne che esterne.

Vediamo adesso uno per uno i quattro Driven e la loro particolare natura..

William Edward Du Bois

William Edward Du Bois sociologo e attivista civile per i diritti umani ha detto:

“Il nostro lavoro dovrebbe creare soddisfazione personale e colmare il bisogno di produttività nella società. Se lo otteniamo la vita è un paradiso, o molto vicina al paradiso. Ma senza di questo, se fai un lavoro che disprezzi, che ti annoia e di cui il mondo non ha bisogno, questa vita è un inferno”.

 

La teoria Lawrence e Nohria spiega cosa le persone desiderano e perché lo desiderano, e questo si fonda su 4 elementi:

  • Il Desiderio/Bisogno di Acquisire oggetti materiali come denaro o proprietà ma anche immateriali come status, potere o influenza
  • Il Desiderio/Bisogno di Appartenere o essere legati da relazioni e interazioni con altre persone. Il senso di appartenenza ad un gruppo è una delle forze più grandi per spingere qualcuno all’azione.
  • Il Desiderio/Bisogno di Imparare nuove cose ed esplorare nuove conoscenze, abilità e soddisfare la propria curiosità
  • Il Desiderio/Bisogno di Sicurezza nel senso di protezione di quello che è nostro che permette di scacciare le paure e generare un senso di sicurezza.

L’uso dei 4 Driven ci porta a scoprire cosa le persone vogliono e per cosa sono disposte a pagare. Possiamo analizzare la questione da due punti di vista.

Il primo è che se una persona crede (consciamente o inconsciamente) che uno dei 4 driven non è soddisfatto farà quello che può per soddisfarlo.

Il secondo è che, se strutturiamo la nostra offerta essendo sicuri di coprire ognuno dei 4 Driven siamo in grado di creare una completezza che colpisce e fidelizza il nostro cliente. Oltre a questo, generare una strategia costruita sui 4 Driven ci permette di avere una gamma di possibilità ampia e sicuramente molto efficace nella nostra proposta.

Facciamo un esempio dei 4 Driven per capire come agiscono nella mente di una persona:

Il desiderio di acquisire si esperire nella voglia di avere qualcosa che soddisfa un bisogno o risolve un problema. Un cellulare ad esempio risolve il problema di comunicare con le persone, ma è anche uno status a seconda della marca e del tipo di cellulare che abbiamo acquistato.

Il desiderio di appartenere è legato alla sensazione di essere parte di un gruppo che si riconosce e ci riconosce. Pensiamo alle file fatte di fronte ad un negozio per l’uscita di un nuovo modello di SmartPhone e alle persone che in quell’occasione si trovano legate da uno stesso obiettivo e che si fanno riconoscere ogni volta che mostrano al mondo che le circonda il loro gadget.

Il desiderio di imparare è insito nella capacità dell’oggetto di farci acquisire nuove conoscenze che ci permettono di accrescere le nostre capacità e contestualmente di mostrarle agli altri. Il mio nuovo cellulare mi permette di fare delle foto molto belle e di condividerle con le persone. Mi ricorda i miei appuntamenti e le cose che non voglio dimenticare.

Il desiderio di sicurezza è quello legato al fatto di sentirmi al sicuro. L’assistenza del mio telefono mi risponde sempre, ho tutti gli strumenti per individuarlo se lo perdo e per fare le copie di sicurezza in caso di rottura.

Tutti questi elementi definiti bene e soprattutto comunicati correttamente fanno sì che il mio cliente sia coinvolto in maniera profonda dal mio prodotto o servizio, ma ancora di più dal mio Brand, costruito all’insegna dei 4 Driven.

C’è però il retro della medaglia che dobbiamo considerare…

Se un Driven non è sufficientemente sviluppato può fare sì che il cliente perda interesse e si allontani dal mio business.

Pensiamo ai 4 Driven come alle gambe di un tavolo su cui poggiamo le mie proposte. Se una gamba è corta o manca il tavolo rischia di cadere.

Così se ad esempio il senso di appartenenza è basso, vale dire non ho creato un brand in cui le persone si riconoscono o possono mostrare con orgoglio, sarà molto probabile che non appena potranno sostituire il mio prodotto con un altro che dà maggiore senso di appartenenza lo faranno immediatamente.

Così come se l’assistenza clienti e le funzionalità del mio prodotto non daranno al cliente la sensazione di sentirsi sicuro o supportato il risultato sarà lo stesso dell’esempio precedente.

Pensare e ragionare facendo ipotesi e simulazioni su come posso dare risposta ai 4 Driven è un esercizio molto utile che porta risultati positivi, quindi mi domando:

  • Cosa vuole acquisire il mio cliente (quale bigino soddisfo o problema risolvo e come)?
  • Come faccio a creare nel mio cliente un senso di appartenenza (appartenenza a cosa come ci riconosciamo come gruppo e Brand)?
  • Cosa sto insegnando o meglio cosa impara il mio cliente grazie al mio prodotto o servizio (come la sua vita è arricchita dal mio prodotto o servizio)?
  • Come il mio cliente aumenta il suo senso di sicurezza grazie al mio prodotto o servizio o più in generale al mio Brand (come mi prendo cura delle sue parure e insicurezze)?

Fare questo esercizio, specialmente con il mio team, genererà interessantissime risposte e nuove opportunità.

Vediamo come i 4 driven si applicano al mondo del lavoro e alla relazione con i miei collaboratori.

Partiamo sempre da una riflessione rispetto a come ogni persona che lavora in un’azienda potrebbe vivere i 4 Driven:

  • Il desiderio di acquisire è sicuramente legato ad un giusto compenso per l’attività svolta, questo può essere anche legato ad una serie di benefits che possiamo ricevere, come auto aziendale e accessi a benefici speciali.
  • Il desiderio di appartenere è più particolare, le imprese che sono in grado di generare un legame nei propri collaboratori e lavoratori con il Brand aziendale fanno la differenza in tutti i campi. Vi ricordate la maglietta che aveva stampato Steve Jobs con su scritto” lavoro 90 ore alla settimana e lo adoro”? Solo il senso di appartenenza ad una visione rivoluzionaria ha permesso a Mr. Jobs di fare sì che un’affermazione del genere sia considerata grandiosa.
  • Il desiderio di imparare, se faccio in modo che una persona impari cose nuove e cresca nella propria professionalità, si sentirà riconosciuta (quindi nel senso di appartenenza) e avrò accanto qualcuno che può fare grandi cose e che arricchisce la mia impresa con le sue idee e ciò che ha imparato.
  • Il desiderio di sicurezza, per comprendere bene questo desiderio pensiamo allo stato d’animo che ha una persona che lavora in maniera precaria rispetto ad una che ha la certezza del posto di lavoro. Oltre a questo la sicurezza è anche legata all’ambiente di lavoro in termini di dispositivi per quanto riguarda i lavori pericolosi o di garanzie come un’assicurazione sanitaria. Esiste anche la sicurezza data dalla tipologia di relazioni che si creano all’interno del posto di lavoro

Come nell’esempio precedente vediamo anche in questo caso cosa può succedere se una delle 4 gambe del tavolo dei Driver viene a mancare o è debole. 

Se ad esempio un lavoratore viene pagato poco rispetto al lavoro che svolge o non ha i necessari dispositivi di sicurezza e viene considerato solo un numero e non una persona quali potranno essere le sue performance lavorative? Quanto potrà restare fedele all’impresa nel tempo? Cosa comunicherà al mondo esterno rispetto al trattamento che sta ricevendo?

Le risposte a queste domande sono inutili perché le conosciamo benissimo, è solo che certe volte non siamo in grado di rifletterci perché troppo presi da altre questioni che di allontanano da queste riflessioni.

Possiamo sempre tornare domandarci in relazione a 4 Driven come gestire al meglio il nostro personale e creare dei piani che metteremo in pratica non appena possibile, soprattutto in collegamento con i nostri piani strategici di sviluppo.

Che ovviamente saranno influenzati da questi ragionamenti.

Un’attività che possiamo fare è quella di collegare ogni mansione ai 4 Driven chiedendoci:

  • Cosa stanno acquisendo i lavoratori e i miei collaboratori (oltre allo Stipendio che mi chiedo se è equilibrato al lavoro svolto)?
  • Viene comunicato un senso di appartenenza a qualcosa di più grande (in senso positivo e propositivo)?
  • Stanno avanzando nelle loro conoscenze e capacità (stanno svolgendo una formazione professionalizzante che riconoscono e vogliono)?
  • Come posso dare o aumentare il senso di sicurezza (anche in situazioni in cui non è facile)?

Quello di cui stiamo parlando oggi è un soggetto molto importante perché riguarda tutti noi.

Infatti una delle particolarità su cui voglio portare l’attenzione è che i 4 Driven sono universali, per cui non sono legati ad età, status o cultura e sono inconsci, vale a dire che agiscono al di là della nostra volontà esplicita. Chi è in grado di intercettarli ha una carta in più per la conquista e la fidelizzazione delle persone con cui ha a che fare.

Introdurre i 4 Driver sarà una grande avventura anche se lo fare solo nelle vostre riflessioni e vi assicuro che farà cambiare tante cose.

Ci saranno difficoltà da affrontare ma il risultato finale sarà comunque la scoperta e l’applicazione di qualcosa di grande e che può generare tanti miglioramenti nella vostra vita ed in quella delle persone con cui entrate in contatto.

Clicca qui e scarica lo strumento per identificare i 4 Driven!

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Dall’ alto verso il basso e dal basso verso l’alto : prospettive di marketing

Dall’ alto verso il basso e dal basso verso l’alto : prospettive di marketing

Le prospettive del marketing: quando product orientend, quando customer -oriented, il business cambia approccio

 

Ogni volta che mi viene richiesta una consulenza, mi trovo davanti a situazioni “raggelanti”: un brivido mi sale lungo la schiena non appena sento le parole “ho bisogno di un miracolo”.

Di fatti, anche quando il cliente, magari anni fa prima, ha maturato una sua idea “geniale”, ha creato il suo prodotto, ha pensato alla catena di distribuzione, ha valutato, nella migliore delle ipotesi, di aprire una micragnosa pagina business su FaceBook, ha infine pensato alla strategia ad una efficace comunicazione, magari tramite tramite post it su tutte le superfici visibili possile … si accorge alla fine, dopo tanto impegno, che il “mitico” passaparola ha funzionato per i primi tre mesi e che si trova fornitori, dipendenti ,o peggio, entrambi da pagare e montagne di prodotti invenduti.

Ecco che allora arriva l’idea risolutiva : rivolgersi ad un consulente di marketing che sicuramente risolverà ogni problema e che con le sue conoscenze e il suo tocco magico cambierà le sorti dell’azienda.

Oltre al fatto che il consulente si sente Mago Zurlì con responsabilità degne di un Dio creatore dell’universo… le azioni che egli può compiere sono in funzione di ciò che è stato seminato in precedenza, ovvero molto poco: un prodotto calato dall’alto, senza ascolto del mercato, senza valutazione dei costi e senza una vera e propria base progettualità né di mercato, né tanto meno di comunicazione.

Benvenuto allora nel mondo della consulenza di business, marketing e strategie di brand.

Certo, non voglio apparire caustica e non sempre la situazione è così disperante : negli anni, ho assistito alla maturazione, sulla via della consapevolezza, di clienti che si rendono conto dei propri limiti e prima di buttarsi ..chiedono “una rete di sicurezza” per lavorare al meglio e non compiere le scelte sbagliate.

Oggi, il mio intento è di farti capire, da errori ed orrori che ho visto con i miei occhi, come iniziare a fare business nel modo migliore e, soprattutto, “ragionato”.

Iniziamo con un cambio di prospettiva: la rivoluzione copernicana delle strategie di marketing.

Quando parlo di “calare dall’alto” un prodotto, è mi riferisco alla prospettiva datata e ,per giunta,errata errata secondo la quale si riteneva sufficiente che un prodotto fosse presentato in modo efficace dalla pubblicità in tv, sui giornali o anche a scala territoriale dentro a editoriali di piccola distribuzione perché i possibili fruitori si convincessero che fosse un prodotto “buono e giusto”: di fronte a tanta qualità, utilità ecc ,che cosa fare se non procedere all ‘acquisto, seguendo quella vocina interiore che sussurrava suadente : “Ne hanno parlato in Tv”.

In altre parole, il prodotto era al centro del sistema di mercato; seguiva un buon packaging e il gioco era fatto.

La strategia adottata dalla Kellogg’s (famosa marca di cereali) è esemplare in tal senso:ancor prima di far partire la catena di produzione di una nuova linea di cereali colorati e dalle forme accattivanti, comprò spazi pubblicitari sui maggiori canali; il risultato fu che in pochissimo tempo la richiesta si rivelò maggiore rispetto alle aspettative e l’azienda dovette affrettarsi a dare il via alla catena di produzione e a potenziarla

Questa tecnica di immissione di un prodotto sul mercato è dall’alto verso il basso. Produttiva sicuramente in passato, oggi essa porta con sé inesorabili fallimenti. Torniamo quindi al presente e alla vita del consulente d’azienda che deve fare i conti con una situazione analoga: se il prodotto è costituito da meravigliose tazze a forma di animali della foresta,realizzate interamente a mano (con costi di produzione altissimi); se la commercializzazione non prevede un servizio di vendita on line; se il target è stato testato su uno stuolo di parenti che hanno commentato “bellissime, grazie mille per questo splendido regalo di Natale” …beh, l’unica considerazione possibile è che anche ad un’idea valida, come quella appunto delle tazze artigianali a forma di animale , non è assicurato il successo nella vendita, se essa non viene confrontata con le esigenze e la tipologia dell’acquirente

Sono molte le variabili quindi di cui tener conto, se si vuol vendere un prodotto e forse può essere utile ripercorrere le tappe che hanno portato ad una completa evoluzione delle strategie di mercato

 

Philip Kotler, padre della traduzione in metodi pratici delle strategie di marketing e business, riprende le quattro variabili dell’attività di marketing product-oriented introdotte da E. Jerome McCarthy nel 1960 (notare bene 1960!!!), ovvero le 4P

– Product (prodotto)
– Price(costo)
– Place (luogo di vendita,distribuzione)
– Promotion (promozione e comunicazione)

destinate poi ad essere integrate nel tempo (necessariamente) con altre 3 P:

– People (persone appartenenti ad uno stesso target o ad un target correlato)
– Process (processo produttivo)
– Physical Evidence (valutazione del cliente )

Il cambiamento di prospettiva del mondo del marketing si avverte però solo nel 1993 quando Robert F. Lauterborn sposta il focus dalla prospettiva dell’impresa a quella del cliente, trasformando le “4P” in “4C”:

– Consumer (cliente)
– Cost (prezzo)
– Convenience(convenienza)
– Communication(comunicazione)

Oggi, infine, con lo sviluppo dell’e-commerce e del marketing digitale, si è avvertita la necessità di introdurre altre due fondamentali leve di marketing, portando così il loro numero a sei

– Community
– Content (contenuto)

Ti faccio notare come nel sistema delle 6C il modello di pensiero sia customer-oriented ma non basta: è per questo che ti invito ad ascoltare il mio prossimo podcast in cui parleremo ampiamente di questo passaggio e non solo, ti metterò a disposizione delle schede per poter analizzare il tuo business e capire se sei un 7P o un 6C!

Quando un prodotto viene immesso sul mercato solo una volta che si sia “ascoltato” il target di riferimento e che si siano intercettati i desideri ed i pensieri delle persone possibili acquirenti ..allora, e solo allora il business avrà una buona base di partenza.

Quindi devo pensare o creare il prodotto solo dopo aver ascoltato il mio target di riferimento all’interno di una community, nei social media, nei commenti in blog , nei siti specialistici, e dopo un’ attenta analisi dei competitor ? “ Ebbene, sì .


E se il prodotto che ho in mente non viene mai menzionato e nessuno ne parla, e nessuno esprime una men che minima volontà o desiderio di un prodotto similare a quello che sto per lanciare sul mercato come un razzo a Cape Canaveral …allora è un’idea geniale! E se non esiste ancora al mondo ed io sono il suo inventore, allora farò i soldi!!!” Certo che no..

O meglio, : ci sono rari casi in cui questa possibilità sia reale, ma si contano sulla punta delle dita. Il più delle volte è “no”.

Mi dispiace spengere i razzi al tuo shuttle pronto ai blocchi di partenza, ma fermati e rifletti. Non calare il tuo prodotto dall’alto: ascolta il “basso”, fiuta il mercato, fai analisi, perdi le tue ore a setacciare la rete (o fallo fare a me come consulente:sono io la tua rete di salvataggio), crea un’immagine mentale delle persone che potranno acquistare il tuo prodotto, immedesimati in loro e nelle loro emozioni e stati d’animo nell’avere il tuo prodotto ed usarlo.

Una volta fatto questo, e validato il tuo business, passiamo al racconto. O come si usa dire tra i tecnici, allo story telling. Raccontare una storia, far innamorare ed appassionare alla produzione di un oggetto (o di un servizio) è una delle parti più potenti della rivoluzione copernicana del marketing customer-oriented.
Viviamo in un’epoca in cui il venditore “porta-a-porta” non esiste più, quindi devi adottare tecniche di marketing nuove, diversificate, creative (tanti esempi li trovi nel mio approfondimento sul marketing non convenzionale) e far emozionare il tuo mercato.

Dall’alto ormai si calano solo i maccheroni in un famoso film con Alberto Sordi (“Un americano a Roma”) e parafrasando : “Marketing m’ hai provocato ? E io te distruggo !”

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La Gestione per realizzare di “Grandi Cose”

La Gestione per realizzare di “Grandi Cose”

La gestione della pianificazione, organizzazione e attuazione per raggiungere gli obbiettivi e realizzare “Grandi Cose”

 

La persona che oggi ci ha ispirato è Peter Ferdinand Drucker, saggista ed economista austriaco, uno dei grandi maestri della Gestione per Obiettivi e descritto da molti come “il fondatore della gestione moderna”.

 

Oggi vediamo quello che, secondo Drucker, deve fare un direttore esecutivo per essere in grado di realizzare grandi cose all’interno dell’impresa in cui opera. Le attività che Drucker racconta, in relazione alla figura del Direttore Esecutivo, possono essere applicate anche alla figura dell’imprenditore nelle piccole e medie realtà in cui riveste il ruolo di chi organizza e gestisce l’impresa.

Vediamo subito quelli che sono gli aspetti che rendono un direttore/imprenditore o una direttrice/ imprenditrice veramente efficace:pianfica e gestisci le tue attività

  1. Domandarsi “Cosa deve essere fatto?”
  2. Pensare a “Cosa è giusto per l’impresa?”
  3. Sviluppare un piano d’azione efficace
  4. Assumersi la responsabilità per ogni sua decisione
  5. Definire e applicare le modalità e le attività di comunicazione
  6. Essere focalizzato sulle opportunità piuttosto che sui problemi
  7. Saper svolge meeting produttivi
  8. Pensare in termini di “Noi” invece che di “Io”

Possiamo suddividere queste otto punti in tre segmenti:

  • Le prime due pratiche: cosa deve essere fatto e cosa è giusto per l’impresa servono per avere la conoscenza di quello di cui c’è bisogno.
  • Le successive quattro: il piano d’azione, la responsabilità per le decisioni e per la comunicazione e la focalizzazione sulle opportunità piuttosto che sui problemi servono a convertire la conoscenza in azioni efficaci.
  • Gli ultimi due elementi legati ai meeting produttivi e al senso di gruppo assicurano che tutta l’organizzazione si senta responsabile e coinvolta.

Prima di addentrarci nell’analisi delle otto pratiche però faccio una digressione su due principi che è importante tenere sempre a mente quando parliamo di gestione e organizzazione che sono i principi di efficacia ed efficienza.

L’efficacia fa riferimento alla capacità di conquistare un obiettivo prefissato, mentre l’efficienza si riferisce alla capacità di farlo grazie all’impiego delle risorse minime indispensabili. Le possiamo riassumere un una frase:

Siamo efficaci ed efficienti quanto raggiungiamo il massimo risultato spendendo il minimo necessario.

Vediamo adesso le otto pratiche che suggerisce Drucker.

La prima attività consiste nel domandarmi cosa è necessario fare. Prendo questa domanda molto seriamente perché è la domanda cruciale per il successo manageriale. Fallire nel rispondere rende il lavoro inefficace con tutte le conseguenze che ne conseguono.

Un Importante aspetto da sottolineare è che la domanda NON si focalizza su “Cosa voglio o posso fare”, ma cosa c’è bisogno di fare.
Spesso la risposta a questa domanda contiene delle urgenze a cui è necessario rispondere. Quindi nella mia organizzazione penso prima alle cose urgenti per poi trovare il tempo per le cose importanti ma non urgenti. Rimanere focalizzati e concentrarci su un obiettivo alla volta, per quanto possibile, è l’approccio che ci porta alla realizzazione di quello che desideriamo. Focalizzarci su più di due obiettivi per volta rende molto difficile rimanere efficaci nelle proprie scelte e per questo è importante definire delle priorità e rimanere concentrati su di esse. Come ad esempio definire che voglio servire.

Per riuscire a gestire più obiettivi ho la necessità di creare un buon processo di delega di responsabilità.

Quando  raggiungo l’obiettivo e prima di passare al successivo, è importante dedicare tempo per analizzare quello che è successo ed è stato registrato (ho registrato le attività ed i loro risultati?). In questo modo posso verificare le nuove conoscenze, i punti di forza e di debolezza e come questi influenzano le scelte successive.

Questa analisi permette di creare un circolo virtuoso in cui ad ogni passaggio grazie alla ricerca del miglioramento e di nuove soluzioni.

Il secondo passo è rispondere alla domanda “E’ la cosa giusta per l’impresa?”. Riuscire a pensare all’interesse dell’impresa come un unico essere piuttosto che agli interessi personalistici di alcuni gruppi è un atteggiamento fondamentale per gestire l’attività in maniera efficace. Questo lavoro permette di costruire una visione d’insieme da comunicare a tutti e permettere così di riconoscersi sotto un’unica visione e missione comune. È questa la base che mi servirà per fare una comunicazione efficace e permettere alle persone di riconoscersi nell’impresa.

il passo successivo è quello di scrivere un piano d’azione.  Nella puntata sul time management (che se non hai sentito ti invito a fare appena possibile) abbiamo analizzato come scrivere un piano d’azione.

Gli imprenditori e le imprenditrici sono persone fattive, per loro la conoscenza è inutile fino a che non è trasformata in azione.

Desiderano risultati, analisi, valutazioni, e attività con cui impiegare al meglio il loro tempo.

“Cosa ci aspettiamo nei prossimi 18 mesi? – A quali attività dedicherò la mia  attenzione? Sono accettabili? Porteranno i risultati attesi? ” queste sono alcune delle domande che determinano il piano d’azione che vogliamo realizzare.

Ricordiamoci però che il piano d’azione è una dichiarazione d’intenti piuttosto che un impegno effettivo. Questo perché come abbiamo visto precedentemente dovremmo leggerlo e modificarlo molto spesso a mano amano che svolgiamo le nostre attività e raccogliamo dati di risultato. Il piano d’azione è quindi uno strumento flessibile.

Adesso che abbiamo messo insieme tutti gli elementi di analisi è giunto il momento di passare all’azione.

Per assumersi la responsabilità delle proprie azioni è importante seguire alcuni principi:

  • Una decisione non è presa prima che le persone siano informate
  • Abbiamo stabilito chi sarà responsabile della sua realizzazione
  • Abbiamo stabilito delle scadenze
  • Sappiano quali sono le persone che saranno influenzate dalla decisione ed è importante che anche loro lo sappiano, e comprendano e approvino quello che sta per accadere
  • Anche e persone che non subiranno direttamene la decisione devono essere informate sulle conseguenze che saranno generate

Spesso quello che si osserva è che le decisioni non hanno prodotto i risultati attesi perché a compiere certe attività sono state messe persone non competenti a riguardo, ma è responsabilità di chi dirige saper valutare e scegliere chi è più adatto a certe attività, o in alternativa farsi aiutare da chi ne ha le capacità.

Questo flusso di informazioni è strettamente legato al fatto di comunicare in modo da essere sicuri che i piani d’azione e le informazioni necessarie siano comprese.

Condividere i piani domandando commenti e feedback a tutte le persone coinvolte permette di esser sicuri di quali informazioni siano necessarie per realizzare quanto previsto.

Le aziende sono tenute insieme dalle informazioni che circolano piuttosto che dalle attività e dalle procedure.

Focalizzarsi sulle opportunità piuttosto che sui problemi è uno dei maggiori punti di forza che possiamo acquisire.

Ovviamente l’attività di problem solving è necessaria ma ha lo scopo di prevenire i danni, mentre esplorare opportunità ha la potenzialità di produrre risultati innovativi.

Trattare una minaccia come opportunità avviene se facciamo attenzione:

  • Ai successi inaspettati o ai fallimenti inattesi
  • Alla distanza tra quello che potrebbe essere e quello che in realtà è, sia a livello produttivo, che di processi e di servizi quindi prestando attenzione  all’innovazione di processo di prodotto o di servizio
  • Possiamo prestare attenzione ai cambiamenti del mercato di riferimento o delle modalità produzione
  • Ci possiamo far ispirare dal cambiamento degli aspetti demografici
  • Dal cambio di mentalità (pensiamo ad esempio al recente incremento nell’uso di strumenti online di comunicazione)
  • Acquisendo nuove conoscenze o nuove tecnologie.

Un Aspetto pratico che possiamo attivare nelle nostre attività è quello di redigere, ai fini di controllo, un report mensile legato alle attività e alle scelte aziendali in cui, nella prima pagina, inseriamo un elenco di opportunità che abbiamo individuato nel mese.

Adesso parliamo dei meeting.

Svolgere un meeting in modo produttivo è come usare un balsamo risanante e rinvigorente per tutta l’azienda.

Innanzitutto partiamo considerando meeting anche una conversazione tra due persone. Per ciò cerchiamo di rendere produttivo anche questo semplice scambio.

Rendere un meeting produttivo significa fare si che sia una sessione di lavoro piuttosto che un ring in cui le persone di affrontano.

La chiave per rendere un meeting produttivo è quella di decidere in anticipo che tipo di meeting sarà.

Anche in questo caso il buon Drucker ci viene in aiuto definendo diverse tipologie di meeting:

  • Un meeting in cui preparare delle dichiarazioni e delle azioni in questo tipo di meeting deve essere preparato, da una persona incaricata, uno schizzo del documento da approvare e alla fine del meeting sempre la stessa persona avrà la responsabilità di redigere il documento e distribuirlo.
  • Un meeting in cui facciamo annunci come ad esempio cambi organizzativi. In questo caso il meeting deve essere limitato all’annuncio e alla sua discussione,
  • Un meeting un cui sono esposti i dati di una sola persona in questo incontro saranno discussi solamente i dati riportati.
  • Un incontro con vari report da diverse persone in questo incontro la presentazione di ogni persona deve essere contenuta in un tempo limitato con l’aggiunta di un tempo per domande e chiarificazioni. In alternativa per ogni report ci può essere una breve discussione di team. In questo caso i report devono essere distribuiti in anticipo per permettere a tutti di conoscerne i contenuti. Il tempo di presentazione dei report dovrebbe essere al massimo di 15 minuti.

Un buon follow up è altrettanto importante. Quando un incontro è finito è molto utile creare un documento che riassuma l’andamento del meeting le informazioni e le decisioni che ne sono risultate.

Questo compito spetta a chi gestisce i meeting con il suggerimento però di richiedere l’aiuto di altre persone per raccogliere le informazioni durante l’incontro.

L’ultimo aspetto è quello in cui un imprenditore, imprenditrice o manager, non si esprime dicendo “IO”, ma  parla e pensa in termini di “NOI” come organizzazione.

L’imprenditore o l’imprenditrice ha la responsabilità su quello che avviene ma questa è legata alla fiducia che ha verso la propria organizzazione. E pensare alle opportunità e ai bisogni dell’impresa prima che ai propri sviluppa un senso di gruppo e di collettività.

Riuscire a gestire tutti gli aspetti suggeriti da Drucker non è sicuramente facile all’inizio, ma affrontando un punto alla volta e renderlo parte della nostra attività farà si che in breve tempo molte cose inizieranno a funzionare in modo differente.

Se vuoi confrontarti e capire come mettere in pratica questi suggerimenti puoi scriverci o chiamarci. 

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Come Funziona Evolving Project: le azioni

Come Funziona Evolving Project: le azioni

Le “azioni” il viaggio continua!

Grazie alle azioni realizzo le mie idee e i miei obiettivi

 

Le Azioni e le Attività sono il mezzo per raggiungere i miei obiettivi
e vivere, giorno per giorno, i miei scopi.

Dal risveglio al mattino a quando finisco la giornata, compio azioni e attività che servono, nella migliore delle ipotesi, per realizzare quello che reputo importante e necessario nella mia vita.

Studio per prendere un diploma o una certificazione, fisso gli appuntamenti con i miei clienti e le attività per realizzare i miei progetti, vado a fare la spesa, passo il tempo con i figli e con gli amici, faccio sport.

Ognuna di queste azioni è legata a uno scopo, che ne sia consapevole o meno.

Anche le azioni e attività che sono obbligato a svolgere, in relazione ai ruoli che interpreto nella vita, sono sempre legati a una visione più grande che sia ideologia o culturale.

Il problema sorge in quello spazio, prezioso e unico, che si viene a creare quando inizio a voler definire e determinare ciò che voglio per la mia vita, come ad esempio il mio modello di benessere. La distanza che separa la visione dalla sua realizzazione è quella che non tutti riescono a colmare. Per questo lo strumento e la filosofia dell’Evolving Project è disegnata per aiutare a colmare questa distanza.

Ma quale è il nemico più grande nel raggiungere i nostri scopi?

Ci sono momenti in cui perdo il senso di quello che sto facendo, il perché, la mia motivazione. Quando accade faccio fatica a svolgere le attività che fanno parte della mia quotidianità, rimandandole continuamente.

In quei giorni in cui ripeto azioni o attività senza trovarne il senso, sto attraversando un momento di assenza di motivazione.

Nell’Evolving Project le azioni e le attività sono sempre collegate a un obiettivo che a sua volta è legato ad uno scopo. Questa connessione ha il preciso intento aiutarci a ripercorrere il viaggio a ritroso che ci porta a ritrovare la motivazione, vale a dire il perché originario.

Dedicarmi, soprattutto nei periodi di difficoltà, a ricostruire quello che mi ha portato in questo preciso momento è un dono che faccio a me stesso e un’opportunità di rimettere a posto tutti gli elementi che ho seminato nel tempo. Avere uno strumento che mi permette di fare questo percorso velocemente e che ho costruito giorno per giorni mi aiuta a guadagnare tempo e chiarezza per dedicarmi maggiormente a quello che reputo importante.

Quando riusciamo a ripercorrere i nostri passi e a ricollegarci alla nostra motivazione ritrovando l’entusiasmo del nostro viaggio l’Evolving Project sta funzionando!

Ad esempio: sto svolgendo una ricerca per un cliente o per un progetto; il lavoro diventa lungo, ripetitivo e noioso. Noto che, ogni volta che mi devo dedicare a questa attività, cerco scuse o mi dedico ad altro. A questo punto apro la mia azione sull’app di Evolving Project e vedo che l’azione è collegata all’obiettivo “Progetto Crescita Cliente X”, entrando nell’obiettivo leggo la la mia motivazione in cui trovo scritto: il mio impegno è realizzare una ricerca efficace per il mio cliente perché sono convinto che la sua crescita, grazie alle mie capacità, permetterà alla mia azienda di avere ancora più importanza nel nostro settore.
Guardo le parole chiave che sono collegate allo Scopo e vedo: realizzazione, successo, crescita, determinazione, innovazione. Ricollegandomi a queste parole ritrovo la motivazione del mio lavoro, quella che mi ha fatto scegliere di prendere quel lavoro e di portarlo avanti. Adesso che mi sono ricollegato alla catena della mia motivazione posso riprendere le mie attività con una nuova consapevolezza.

Se, invece, rileggere gli obiettivi e le parole chiave non bastasse a farmi tornare ai principi che mi motivano e a capire che la mia azione è parte di un progetto più ampio, ho due alternative:

  1. Ri-definire e ri-scrivere l’azione in un modo nuovo, che mi permetta di portare maggiore motivazione in quello che faccio. Per questo, nei diversi percorsi, alla conclusione o meno di un’azione viene compilata la scheda di feedback in cui scrivo gli aspetti salienti di quell’esperienza e le idee su come migliorarla.
  2. Se la difficoltà nel compiere le azioni è molto estesa, l’alternativa è quella di ri-leggere la Dichiarazione di Scopo e valutare se la visione che ho costruito è veramente allineata con quello che sono e che voglio fare.
    Una visione di quello che voglio raggiungere mi aiuta a superare i momenti di difficoltà. Se questa visione, però, per qualche ragione non è più sufficiente, diventa necessario ri-percorrere quello che ho definito nella Dichiarazione di Scopo e, se lo reputo necessario, aggiornarla alla luce della mia nuova comprensione. In questo caso la soluzione migliore è creare una copia della Dichiarazione di Scopo alla data attuale usando la funzione time machine che mi permette di “congelare” e duplicare scopo, obiettivi e azioni a quel momento e partire con una nuova versione su cui posso fare modifiche senza cancellare il mio passato.

Una scheda attività secondo il modello Evolving Project è composta da:

  • il nome dell’azione creato nell’obiettivo quando sono state definite le to-do list
  • il riferimento all’obiettivo, per sapere sempre cosa voglio raggiungere e poter tornare allo scopo che mi sprona
  • la data di inizio e fine e l’orario in cui ho deciso di svolgere la mia azione o attività
  • la descrizione di quello che voglio fare
  • un file template (opzionale) inserito dal creatore dell’azione
  • una sezione per caricare i nostri file che possono essere i template compilati o altri documenti che reputo importanti

Ogni azione, inserita nel calendario giornaliero, aiuta a organizzare le giornate verso la conquista degli obiettivi e la realizzazione dello scopo.

Comunque, quando organizzo le mie azioni facci attenzione a un principio fondamentale:

la vita non è una linea retta.
gli imprevisti e i cambi di direzione
mi accompagnano ogni giorno.

Il suggerimento che dò è quello di distribuire le azioni e le attività, soprattutto agli inizi, per un massimo di quattro ore giornaliere lasciando il resto della giornata a imprevisti e cambi di direzione.

In questo modo evitiamo la frustrazione che nasce dal vedere il calendario colmo di attività che non abbiamo realizzato.

Se nell’arco delle quattro ore abbiamo concluso tutto quello che avevamo programmato, e abbiamo ancora tempo, possiamo avvantaggiarci svolgendo attività progettate per i giorni successivi e liberare così tempo e possibilità per l’inserimento di nuove azioni e attività.

Alla data di chiusura dell’azione o dell’attività è importante compilare la scheda di feedback: in questo modo lascio un’indicazione delle ragioni che hanno determinato il risultato e posso trarne spunto e suggerimento per le azioni successive. Facendo così costruisco la mia “capsula del tempo” che mi aiuterà a migliorare la mia vita grazie ai suggerimenti del mio sé del passato.

Le schede di feedback non sono obbligatorie. La compilazione o meno è legata all’importanza del feedback che voglio lasciare, se voglio ricordarmi di qualcosa di utile o condividere un aspetto particolare della mia esperienza.

Le azioni sono lo strumento fondamentale per la realizzazione dello scopo.

Azione dopo azione realizzo già il mio scopo
perché  sono la sua materializzazione e
i mattoni del mio palazzo

 

Evolving Project diventa per questo uno strumento fondamentale per superare gli ostacoli e per pianificare la strada del successo. Evolving Project: lo strumento del cambiamento

 

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