Il primo pilastro della mia impresa l’RxP

Il primo pilastro della mia impresa l’RxP

Sei soddisfatto o soddisfatta del tuo team? Mai sentito parlare di Rxp?

Oggi andiamo avanti nella nostra esplorazione sull’innovazione, facendo un passo indietro ed uno di lato per guardare l’azienda ai raggi X e fare un radiografia della sua struttura. Quindi, vediamo alcuni elementi fondamentali e domandiamoci se li prendiamo in considerazione o meno..
Le parole d’ordine di oggi sono

semplicità, chiarezza, e crescita.

Partiamo da una delle colonne portanti su cui poggia ogni impresa, ma voglio iniziare con una richiesta:

Alzi la mano chi vuole far crescere il proprio business e renderlo stabile e forte.

Ok vedo che ci sono tante mani alzate.. fantastico perché il nostro viaggio ci porterà a considerare gli elementi che sostengono le nostre aziende o che vorremmo che lo facessero…

Il primo pilastro da piantare fermamente nel terreno è che un’azienda è composta dalle persone che ne fanno parte e che si sono riunite intorno all’idea dell’imprenditrice o dell’imprenditore..

Ti chiedo: sei soddisfatto o soddisfatta del tuo team? 

Qualunque risposta tu abbia dato sappi che significa:

come mi sento è il frutto delle mie scelte e della mia chiarezza.

Abbiamo analizzato nell’articolo e nel podcast su come gestire l’impresa per realizzare grandi cose (se non hai letto l’articolo o sentito il podcast ti consiglio vivamente di farlo) come un imprenditrice o un imprenditore sia responsabile delle sue scelte e delle azioni del proprio team, quindi se non ne sei soddisfatta o soddisfatto, inizia a pensare a cosa non hai comunicato in maniera chiara e sfrutta il momento per gettare le basi del miglioramento.

Adesso però entriamo più nel tecnico introducendo, grazie alle idee di Daniel Priestley, un misuratore delle nostre attività che possiede tutte e tre le parole d’ordine di oggi, parliamo del Revenue per Person che, per chi non mastica l’inglese o non apprezza gli inglesismi significa Ricavi per Persona (da adesso RxP). Questo indicatore prende il volume d’affari e lo divide per il numero di persone che compongono l’azienda.

Sento già le opposizioni di chi tra voi è più tecnico e dice che una divisione di questo tipo è troppo grossolana e non è un indicatore efficiente, perché le persone sono impiegate in diversi reparti e hanno funzioni produttive differenti e così via.

A queste persone rispondo.. che hanno perfettamente ragione, ma anche che la mentalità imprenditoriale, soprattutto se non è stata formata ad un certo tipo di analisi, vuole soluzioni veloci che possano dare un’immediata visione della propria situazione aziendale. Per questo il misuratore RxP è inizialmente un ottimo indicatore di performance.

Adesso facciamo un passo in avanti partendo da una domanda che sicuramente gira nella mente di molti.. quale è un giusto RxP?

Ma prima di rispondere desidero raccontarvi uno dei principi che sta alla base del lavoro del team dell’Evolving Project: il principio dell’apprendimento esperienziale.

Ok forse il concetto potrebbe non essere così immediato, mi spiego… per noi significa imparare ponendo domande e facendo ipotesi che si trasformano in esperienze e verifiche. Una volta che una persona ha attraversato queste fasi di lavoro la sua conoscenza appartiene solo a lei o a lui; non è il frutto di una trasmissione tecnica e univoca come quella che avviene ad una lezione frontale. Nei nostri corsi non sarete mai passivi ascoltatori, noi lavoriamo sulla formazione e la consulenza partecipata partendo dall’idea di avere solo 4 slide, che significa che non prepariamo slide per i nostri corsi di formazione, ma intercettiamo e discutiamo i bisogni delle persone e modifichiamo i nostri percorsi per farli diventare come una consulenza personalizzata…

Ok finita questa digressione ideologica vediamo insieme di capire come individuare il giusto valore di RxP.

Facciamo un cammino per piccoli passi; se la mia azienda ha un volume d’affari di 100.000€ e 3 collaboratori più l’imprenditrice o l’imprenditore allora l’RxP sarà €25.000 a testa.

Facciamoci una domanda: è una buona rendita?

Riflettici con attenzione.. quale è il compenso mensile del collaboratore? È a tempo pieno o part-time. Ovviamente se è part-time il valore a persona va riproporzionato per la percentuale di part-time.

La persona ripaga il suo stipendio con il suo lavoro?

Quale è il margine un volta sottratti gli stipendi dei collaboratori o delle collaboratrici?

E’ sufficiente per pagare gli altri costi?

Ecco già da queste prime battute abbiamo fatto un grandissimo lavoro di analisi sulla struttura di un’impresa in maniera semplice.

A questo punto, avendo smosso le acque cos’è successo? Abbiamo stimolato la curiosità a sapere di più a dettagliare meglio i diversi aspetti della nostra analisi, a spronare tutti verso più ricche ed approfondite riflessioni.

Questo è il successo di passare da concetti semplici, che tutti possono usare, a analisi più ricche e approfondite.. Ci basiamo sulla curiosità, sul desiderio e sulla voglia di sapere di più, questi sono gli stimoli che vogliamo creare grazie al nostro lavoro.

Tornando all’esempio, i 4 collaboratori per un volume d’affari di 100.000€ potrebbero essere troppi e creare difficoltà soprattutto nelle attività di investimento e crescita per mancanza di margini.

Vediamo adesso, sempre secondo il Priestely pensiero, come suddividere le diverse tipologie di imprese in base al numero di persone del team e al loro RxP.

La prima espressione di ogni impresa è la startup che parte dall’idea di qualcuno e dal suo desiderio ed entusiasmo. Propone idee, piani, prototipi e Vione e si aspetta una ricompensa economica per costruire la propria indipendenza. Di solito parliamo di una persona o un piccolo gruppo che parte all’avventura. In questo caso non abbiamo RxP perché l’avventura è solo all’inizio.

Il passaggio successivo è chiamato la natura selvaggia (wilderness) in cui i fondatori che hanno costituito l’azienda lanciano il business in modello sopravvivenza lavorando da soli basando tutto sulle proprie forze. Questa è la fase in cui si lavora duro senza risparmiarsi e risparmiare nulla (se si crede veramente all’idea). E’ un momento duro sia dal punto di vista fisico, mentale ed emotivo, pensa che circa l’80% di queste attività non riesce ad assumere qualcuno.

Poi abbiamo la boutique in difficoltà composta da 3-12 persone con un RxP molto basso. In questa fase abbiamo la prima costituzione di un team con bassi salari e profitto contenuto. La difficoltà è quella di scambiare tempo per soldi rimanendo spesso prigionieri di lavori che servono per pagare le spese correnti piuttosto che fare investimenti.

Segue la boutique da stile di vita composta da 3-12 persone che lavorano con energia e cultura imprenditoriale in una struttura dal basso mantenimento economico. Il team è auto-organizzato e sfrutta strumenti digitali per raggiungere le persone a livello globale solitamente il business appare più grande di quello che effettivamente è. I titolari hanno un buono stipendio e maggiore libertà, più impatto e meno stress. Spesso il business è focalizzato su personalità forti e con idee innovative.

Dopo questa tipologia di impresa si trova il deserto formato da imprese che contano dai 13 ai 49 dipendenti e sono nella fase di scalabilità. Si trovano ad essere troppo grandi per essere piccoli ma troppo piccoli per essere grandi. Gli investimenti assorbono la maggior parte delle risorse e l’attività richiede leader e manager per essere gestita ma non ha ancora il volume d’affari per permetterseli. In questa fase è difficile produrre margini importanti.

La fabbrica formata da più di 50 persone è il risultato di una selezione delle migliori teste in cui il business è sempre sul limitare delle difficoltà finanziarie, che indica un basso RxP, ma si avvia verso una maggiore struttura e dimensione. Non ci sono disavanzi per dare premi a chi lavora al meglio. La speranza di crescita è legata alla creazione di un percorso che rafforzi i pilastri e le attività per uscire dalla prospettiva una vita difficile sempre alla rincorsa degli strumenti finanziari per andare avanti.

L’azienda da Performance che ha dai 50 ai 150 dipendenti ed è la fabbrica che è stata in grado di trovare la chiave di volta per la sua crescita. E’ dinamica e assume lavoratori professionali e capaci, possiede ottime qualità nella gestione del business e crea un altro RxP. La cultura, il brand e i sistemi di produzione sono strutturati per seguire più tipologie di mercato e a livelli internazionali. Il profitto è buono e legato ad una strategia sviluppata bene. I titolari possono beneficiare di ottimi guadagni o pensare ad una exit strategy per godersi il frutto del meritato lavoro.

Le start-up che realizzano grandi cose sono chiamate Unicorni e sono aziende che contano più di 250 dipendenti con un altissimo RxP. Sono costituite da team che si sono trovati nel posto giusto al momento giusto come Facebook, Uber, Tesla per dirne alcuni. Posso raggiungere incredibili obiettivi e spaziare in diversi settori e attività.

L’ultima tipologia di impresa sono le Corporation che contano più di 250 dipendenti e sono radicate ormai nei mercati di riferimento. Sono enormi agglomerati di attività con tante persone che spesso ripetono le stesse operazioni. Hanno consolidato le loro posizioni e spostano i riferimenti in base alle loro azioni. In queste aziende il RxP è buono ma strutturato in maniera molto gerarchica.

La nostra cavalcata per introdurre uno dei più importanti pilastri e sistema di misurazione delle nostre imprese è giunto al termine, prendetevi un momento per riflettere sulle vostre attività e sul vostro RxP per poi passare alla domanda, che tipo di business ho?

Raccontateci la vostra storia e condividetela sui nostri canali Linkedin e Facebook.

 

Inviaci email

Innovazione e comunicazione

Innovazione e comunicazione

Progettare oggi quello che sarà il domani dell’impresa

Partiamo dal concetto di innovazione: un prodotto o un servizio che fornisca una soluzione nuova ai problemi del consumatore, sia migliorando le soluzioni esistenti proposte dai concorrenti, sia aggiungendo una funzione nuova o diversa.

Adesso pensiamo agli elementi che costituiscono l’innovazione: un bisogno da soddisfare o una funzione da espletare; il concetto di oggetto o di entità che soddisfa il bisogno; l’insieme degli input che comprendono le conoscenze esistenti, materiali e tecnologiche disponibili, che danno modo al progetto di diventare operativo.

In questo quadro, è logico pensare che un’innovazione si basi sull’ascolto del bisogno del proprio target (analisi big data) e che, a seguito di questa stuoli di ricercatori mettano in pratica la loro esperienza per tirare fuori idee/prodotti/servizi che possano rispondere alla chiamata “innovazione market-pull”. Siamo di fronte alla logica del bottom-up  che puoi approfondire cliccando qui .

L’ attenzione all’ascolto del target per lo sviluppo di innovazione è l’unica strategia che può “costruire” il palazzo della tua impresa.

È tramite l’ascolto che puoi prevedere le tempeste e interpretare i desideri del tuo mercato. Pensiamo al recente periodo di lockdown: solo le aziende che si sono adeguate alle necessità del loro pubblico sono state in grado di sopravvivere al grande Covid-tsunami.

Mi spiego meglio: pensa a chi aveva un negozio fisico e una presenza sui social intermittente, ad un certo punto l’8 marzo del 2020 ha visto, proprio come succede all’arrivo di uno tsunami, l’acqua ritirarsi sotto i propri piedi e da quel momento, ha avuto pochissimo tempo per capire ed adeguarsi al cambiamento; ed ecco, che il piccolo negozio ha attivato l’e-commerce, la consegna a domicilio, ha imparato cosa significa attenzione al clienti proteggendo il proprio business ed adeguandosi al cambiamento. Il grande tsunami ha portato distruzione e collasso ma chi è rimasto in piedi ha imparato una grande lezione: adattamento e innovazione digitale.

Chi ha mantenuto saldo il suo palazzo ha disgregato i concetti di presenza intermittente sui social, ha abbattuto la barriera del passa parola, ha creato connessioni dirette con il proprio target (CRM). Ha risposto con “innovazione technology-push” ovvero azioni proattive spesso con innovazioni di rottura, anticipando la domanda di mercato, creata ad hoc da azioni di marketing mirate.

In questa ottica e in questo nuovo scenario post (o quasi) – tsunami, i presidi digitali del brand (social, sito, app) non si limitano ad avere il ruolo e la funzione di mera vetrina ma, diventano strumenti di dialogo aperto e soprattutto ascolto da cui trarre informazioni per la realizzazione delle proprie azioni strategiche.

Bello, chiaro ed evidente. Ma quali carte sono da giocare per l’innovazione digitale?

  • La personalizzazione dei contenuti è la prima strategia da mettere in atto per vincere la saturazione del mercato.

I contenuti personalizzati emergono dall’analisi delle preferenze, la cronologia degli acquisti e della navigazione online tramite la lettura critica di questi dati è possibile segmentare il target in modo molto efficace e creare contenuti ad hoc.

  • La chat bot: queste stringhe di codice, opportunatamente istruite, sono essenziali per raccogliere i pareri dei clienti (o dei prospect) e i feedback . È diventato naturale interagire on line con una macchina, per lo meno per quel che riguarda la richiesta di informazioni oppure lo svolgimento di compiti semplici.
  • L’ Intelligenza artificiale:  diciamo un “chat bot molto evoluto”che permette di avviare in modo proattivo conversazioni con i clienti ma anche di abbattere i costi di Customer Service.

(Nota: da un recente studio di Juniper Networks emerge che i chatbot aiuteranno infatti i rivenditori a ridurre i costi relativi ai Customer Center di $439 miliardi all’anno e ad aumentare le vendite di $112 miliardi entro il 2023).

  • La realtà aumentata (AR) e la realtà virtuale (VR) sono esplose in popolarità negli ultimi anni e stanno rapidamente diventando uno dei principali trend del marketing management 2021. Strumenti efficaci per creare enorme buzz intorno al marchio, convogliando molte persone in un luogo solo, ma anche per sviluppare contenuti interattivi, coinvolgenti e possibilmente virali.
  • Gli influencer, e soprattutto i micro-influencer, voci affidabili e riconoscibili da scegliere in linea con i propri valori e da coinvolgere attraverso partnership durature.

Nota che merita un discorso a parte soprattutto in riferimento ai grandi brand (ma non solo, ecco piccolo spunto di riflessione: se una piccola attività crea una strategia per cui ad ogni “prodotto venduto” l’azienda “pianta un albero” sono più propenso a comprare lì piuttosto che da un altro che ha il medesimo prodotto)  è far conoscere l’impatto che hanno sul mondo comunicando con trasparenza le attività finalizzate alla promozione di un’economia più sostenibile a livello sociale e ambientale.

Se abbiamo parlato fino a  qui di “carte da giocare” per essere innovativi, torniamo alle tecniche di ascolto del target: non esiste più il concetto standard di pubblicazione di post in piano editoriale statico con rubriche scollegate dal contesto storico e sociale. Il gioco del Piano Editoriale deve avere come protagonista le carte di cui sopra.

La barriera del “cosa scrivo sulla pagina” non esiste più: chi pensa che mettere il solito post motivational con il povero Confucio  (povero perché è comparso almeno una volta su tutte le pagine social da chi tratta di Yoga a chi vende salami) sia un ottimo place holder e che mantenga la presenza del brand è destinato ad affogare sotto l’onda dello tsunami. È il prospect che detta le regole di pubblicazione, è l’ascolto delle abitudini, è dall’analisi delle risposte che il piano editoriale si sviluppa e che la comunicazione prende corpo.

Caro imprenditore ed imprenditrice non fare piani a lunga percorrenza (come è stato in uso finora) guarda lontano, alzati sull’orizzonte e diventa innovazione.

 

Inviaci email

budget nelle Ads

Budget nelle Ads

Il budget nelle Ads croce e delizia

Continuiamo a parlare di budget ma in un campo molto specifico quello delle Ads.
Mio caro imprenditore o imprenditrice quante volte hai chiesto: “quanto devo investire in ads?”
la domanda è comprensibile e corretta ma la risposta, come ti sarai reso conto, varia ogni volta.

Diciamoci la verità: è la domanda più scontata e contemporaneamente più difficile a cui un marketer ha il dovere di rispondere.

Se fai questa domanda e il tuo consulente inizia a divagare, a parlare delle economie che muovono gli ingranaggi al palazzo del potere per finire poi con … “te quanto hai nel tuo portafoglio ora?” .. non stai ponendo la domanda alla persona giusta.. sarà mica tuo cugino?!.

Scusa la battuta ma, per me è una missione: ho bisogno di fare chiarezza e, pur rischiando di essere pedante, tengo molto a ribadire che marketer non ci si improvvisa, per fare il marketer servono ore e ore continue di aggiornamento, studio e preparazione .

Torniamo al budget. Prima di rispondere alla domanda un professionista deve chiarire alcuni aspetti cruciali .

Facciamo un quadro dello scenario in cui si trova la tua impresa e il tuo prodotto da sponsorizzare, teniamo quindi presente:

  • il settore in cui operi e alla tipologia di servizio e/o prodotto che offri;
  • il fattore competitività e saturazione del tuo mercato di riferimento;
  • il modello di business (attività locale, eCommerce, acquisizione contatti);
  • gli obiettivi che vuoi raggiungere e in base al tempo in cui li vuoi ottenere.

Teniamo quindi presente l’universo Ads di Zukemberg e l’algoritmo affinatissimo di Intelligenza Artificiale (il maiuscolo è d’obbligo visto che si tratta quasi di una entità reale, pensiero da marketer che per facilità del suo lavoro vede questa AI come un immenso architetto …si, Matrix docet).

L’AI presenta le tue ads solo a persone che possono avere interesse reale a compiere una determinata azione (call to action, CTA) impostata nella tua campagna ma non solo, i prospect (papabili clienti) che vedranno la tua ADS saranno sono quelli interessati al tuo prodotto, niente male, eh? Bene ma non benissimo: perché se il tuo prodotto è “pasta artigianale” andrai in competizione con colossi come Rummo, Molisana, Barilla.. quindi non hai speranze ti farti spazio?

No, la risposta è la meno scontata perché oltre il budget che vuoi investire nella tua campagna è una delle metriche principali che l’AI utilizza per decidere se mostrare o meno le tue inserzioni al pubblico.
Ma non è l’unica.Parliamo del sistema di asta. (ti scrivo qui il link per approfondire il sistema leggendolo dalle dirette parole di Facebook Business: https://www.facebook.com/business/help/430291176997542?id=561906377587030)

Almeno una volta chiunque ha provato a “boostare un post” (classicone: “mettere in evidenza un post”) e ti sei accorto che già compiendo questa semplice azione i parametri che ti vengono chiesti sono:

– pubblico
– costo giornaliero (BID)
– CTA

Ma è solo la punta dell’iceberg, è bene sapere che ogni giorno ci sono centinaia di migliaia di persone/inserzionisti che boostano post o che fanno campagne strutturate… ma come decide l’AI chi e cosa mostrare?

Ogni volta che un utente accede a FB (ti faccio una domandina al volo: hai mai fatto un logout dalla piattaforma? La risposta è sempre la stessa:“NO” quindi sei sempre connesso, sempre tracciabile, sempre analizzabile dalla grande AI…sapevatelo!) il sistema raccoglie le tue informazioni: area geografica, tipo di connessione (pc, smatphone, tablet), sesso, interessi, attitudini di ricerca etc..

A seguito di quello “raccolto di informazioni” l’AI ti mostrerà SOLO Ads che possono consigliarti prodotti /brand “giusti” per te e che possano tenerti il più possibile incollato alla piattaforma.

Ma vediamo insieme i parametri che ti permettono di “vincere” in asta contro brand immensi :

L’offerta: in pratica quanto si è disposti a pagare per centrare l’obiettivo di business (scelto in fase di creazione delle campagne).

Tassi di azione stimati: questo fattore dipende da tante variabili che riguardano: l’oggetto promosso, la pagina, lo storico dell’account pubblicitario, il target di riferimento, ecc…

Pertinenza e qualità dell’annuncio.

L’AI utilizza il suo algoritmo sia per valutare la tua inserzione, sia per selezionare il miglior utente a cui mostrarla e in estrema sintesi: l’inserzione migliore vince l’asta.

Se ne deduce che anche se si punta forte (offerta) è possibile perdere l’asta se l’inserzione non è pertinente e interessante per il pubblico di riferimento. D’altro canto, è possibile spendere poco se l’inserzione piace e ottiene risultati.

Adesso cercherò di definire con esempi pratici delle cifre a spanne di quanto investire con buona pace dei miei colleghi che mi diranno NON PUOI DIRLO, NON È PRECISO, NON È POSSIBILE… serenità, amici di ventura: ho detto “a spanne”!

Iniziamo con la metrica più semplice: la copertura. Con copertura si intende l’obbiettivo di mostrare a quante più persone possibile la propria ads (brand awareness, in altre parole).

La domanda da farsi subito è: quanto costa raggiungere  più pubblico possibile?

Basiamoci su dati medi del mercato delle Ads in Italia del 2018 in cui il costo medio per l’obbiettivo copertura era:

    • circa 2€ per il CPM (costo medio per 1000 impression);
    • circa 0,40€ per il CPC (costo per click sul link).

Quindi, una volta visto il costo medio basta moltiplicare questo per il numero di persone che si vogliono raggiungere ed il gioco è fatto, o quasi…

TI dico quasi perché, tenendo presente uno dei parametri di asta la creatività e il copy (pertinenza e qualità dell’annuncio) sono variabili fondamentali che influenzano i costi della Ads: un video verticale o quadrato, un banner grafico orizzontale o di nuovo verticale performano in maniera nettamente diversa.

Dobbiamo rimanere sempre aggiornati e conoscere quali sono i formati preferiti dagli utenti  se vogliamo risparmiare (piccola dritta: ora come ora punta sui formati video, stories, reel )

Proviamo ora a stiamare il budget in base al proprio modello di business su 3 casi:

    1. Hai un eCommerce — vendita online;
    2. Devi raccogliere contatti — lead generation;
    3. Hai un negozio fisico.

Stimare il budget per una campagna Facebook per un eCommerce.

E-commerce= la battaglia di più costosa, quella dove la strategia e la competenza grafica e di copy sono le armi da saper usare come un cecchino.

Prima azione essenziale: TEST!
Trova il bacino di utenza in brand awarness che possa darti sicurezza (come? Seguendo la tua pagina e aumentando le visualizzazione della tua pagina di destinazione, per esempio). Per trovare il proprio bacino di utenza favorevole devi attivare almeno 4 campagne :

2 di prospecting per testare pubblici diversi sicuramente freddi ma strutturati ed in linea con il brand, qui alloca il 60% e il 90% del tuo budget

– 2 campagne di retargeting (= colpire lo stesso utente come un secondo messaggio pubblicitario una volta che quest’ultimo ha compiuto un’azione rilevante es: commentato una ads del primo set oppure messo un follow alla pagina) , qui alloca tra il 10% ed i 40% del tuo budget

Tempi e costi: 3 mesi di test (primo set) con budget di 20€ al giorno e poi 10€/15€ al giorno per il secondo set .

Perché questi costi?

Proviamo a ragionare: in una fase alta di un funnel, stimiamo di avere una copertura ipotetica di 500mila persone potenzialmente interessate ai prodotti del nostro eCommerce e prevediamo, come visto in precedenza, un costo medio per impression attorno ai 2€. Il che significa che con 20€/giorno ci garantiamo almeno 300mila impression in un mese.

Tra l’altro non è necessario andare a raggiungere tutti i 500mila della nostra ipotesi, ci penserà Facebook a orientarsi verso quelli che lui ritiene più profittevoli.

Il retargeting invece serve a un duplice scopo:

  • a raggiungere chi è già stato sul sito ben prima che iniziassimo la campagna;
  • a ristimolare gli utenti portati sul sito dalla nostra campagna.

Difficile farcela con meno di 10 euro al giorno: la pressione di advertising sarebbe troppo limitata.

Stimare il budget per una campagna Facebook di Lead Generation.

Lead generation non è altro che acquisizione contatti perché come dice Veronica Gentili : “le bollette non si pagano con i like o il follow”.

Acquisire un contatto vuol dire che un prospect ci lascia i suoi dati (mail, preferenze etc..) ovviamente l’azione richiesta al prospect è molto più leggera piuttosto che fargli comprare qualcosa, non credi? .

In questo esempio, durante la fase di test semplificando la struttura precedente è possibile portare a 2–3 campagne, di cui 1–2 in fase di prospecting e una sola in fase di retargeting.

Tempi e costi: Non puoi spendere meno di 12–15€/giorno per la fase di prospecting e meno di 5–8€/giorno per la fase di retargeting.

Stimare il budget per una campagna Facebook volta alle conversioni offline.

Mettiamo che vuoi portare gente al tuo store fisico (negozio) e non sei interessato alla vendita on line, bene, il primo aspetto a cui rivolgere la tua attenzione è: quanta distanza un possibile cliente può fare o vuole fare per comprare da te? Ovvero devi individuare il tuo raggio di azione/influenza.

Facciamo un esempio: se sei un dentista a Firenze (città di medie dimensioni) e la concorrenza nel settore è notevole. Fatti la domanda: quanto è disposta un persona a muoversi per venirsi a togliere una carie da te? Diciamo 20km, prospect uomini e donne tra i 30 ed i 60 anni.

Prendendo sempre come riferimento i 2€ come costo medio per 1000 impression, per raggiungere le 78mila persone il conto è semplice: (78.000/1000)*2= 156€

Consiglio:

  • se vivi in una grande città, non spendere meno di 10–15€ al giorno.
  • se vivi in una città di medie dimensioni, 5–10€ al giorno.
  • se vivi in una piccola città, 5€ al giorno.

Questi budget devono a loro volta essere suddivisi almeno su una campagna di prospecting e su una di retargeting.

Tiriamo le somme

  • se vuoi promuovere un eCommerce, devi essere un cecchino e spendere almeno 1085€/mese;
  • se vuoi raccogliere contatti profilati attraverso la lead generation, devi investire almeno 620€/mese;
  • se vuoi dare visibilità a un negozio fisico dipende inevitabilmente dall’area geografica, dalla concorrenza e da quanta distanza un potenziale cliente è disposto a percorrere per raggiungere il tuo punto vendita.

Best practice:

  • stanziare un budget iniziale per una fase di start-up dell’account, indispensabile per capire i costi e analizzare i dati.
  • allocare un budget mensile fisso, in modo da permettere all’algoritmo di Facebook di aiutarti a ottimizzare le tue campagne.

Tieni ben presente che per come funziona l’AI e capirai che è molto più facile sprecare budget prevedendo azioni spot estemporanee a basso budget, che invece stanziare un investimento pubblicitario mensile .

Perché? Perché l’algoritmo è una macchina che impara e per imparare ha bisogno di tempo, di conoscere il territorio, l’audience, i gusti e le abitudini dei tuoi potenziali clienti. Se lo addestri a lavorare nel lungo periodo, lavorerà sempre meglio.

 

Inviaci email

budget marketing e comunicazione

Il Budget per il marketing e la comunicazione

Come gestire e come allocare il budget per il marketing e la comunicazione

Novembre e il mese dei conti e con cui “fare i conti”.

Novembre mese di prese di coscienza.

Novembre il mese in cui ogni imprenditore o imprenditrice valuta se il suo bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto.

Questo quadro abbastanza pieno di mestizia è identico al momento in cui una persona si rende conto all’improvviso che è maggio e che la prova costume anche quest’anno non verrà superata.

Proviamo a fermare questo andamento, proviamo a ricordarci che già a gennaio è meglio smettere di mangiare il gelato fritto per colazione ogni santo giorno e piuttosto iniziamo a magiare qualche insalatina in più, così da arrivare alla prova costume decorosamente in forma.

Proviamo dunque a prendere il mese di novembre come quel momento in cui predisporre il cambiamento ma non un cambiamento velleitario e di fantasie inarrivabili per il nostro business piuttosto ragioniamo su ciò che è stato, su quello che si può fare e prevedere in funzione di quello che siamo oggi. Ogni imprenditore ha una freccia nel suo arco molto potente il budget previsionale.

Non è il mio campo, lascio la parola ad esperti del settore come Enzo che ci ha aperto un mondo grazie al suo podcast che ti link di seguito (ti consiglio di ascoltarlo con molta attenzione) .

All’interno del budget previsionale è bene sapere che c’è una sezione entro cui si fa l’analisi di ciò che abbiamo fatto: si tira una linea e si valutano i risultati (per poter strategicamente porre nuovi obiettivi). Tirando questa linea è possibile comprendere dove l’impresa è arrivata/o non è arrivata  rispetto all’anno precedente.

Diventa semplice comprendere quanto questo strumento  sia essenziale per crescita aziendale o per porre rimedio a falle che piano piano stanno facendo entrare acqua nella nave.

Ma come si valuta se il tuo business è andato bene, benino, male o malissimo? Come sempre gli estremi sono facili da percepire … ma non per questo tu imprenditrice o imprenditore puoi permetterti di stare con l’animo in pace. Gli indicatori sono quelli che dicono la verità. Sono i pilastri su cui far crescere il tuo palazzo, sono i numeri..che come sempre non mentono mai.

Quindi, una volta compreso un’amarissima verità , parlo da consulente di comunicazione e marketing, cioè che le imprese allocano raramente budget per la comunicazione e il marketing (“tanto basta fare un post” ….ed ogni volta un marketer muore) è il momento di dire basta e di fare un salto di qualità.

Per fare questo salto di qualità siamo nel momento più giusto dell’anno. Siamo a novembre. Parliamo di budget allocation per il marketing e la comunicazione. Domande a cui rispondere:

  • quanto è stato investito l’anno precedente?
  • Che risultati sono stati ottenuti?
  • Che risorse sono state chiamate in causa tra consulenti/esperti/interni?
  • Quali obiettivi sono stati raggiunti?

 

Se a queste domande vengono date delle risposte siamo nella posizione di poter analizzare in background e avere subito una strategia successiva da mettere in atto. Qualora le risposte a queste domande non esistessero perché “non è mai stato fatto niente” bhe è venuto il momento di fare qualcosa, anzi mi chiedo.. ma finora come hai fatto? No, non dire che “ci pensava tuo cugino”… la prossima, nella lista della Morte dei marketer di cui sopra, sarei io.

Nel caso in cui ci sia un backgroud da cui partire o che non ci siano elementi di riferimento vediamo come allocare il budget per la comunicazione e il marketing.

Un buon preventivo di spesa non può prescindere da una visione esaustiva degli obiettivi che si intende raggiungere: non si tratta semplicemente di allineare i singoli obiettivi alle possibilità di spesa,  occorre mettere sul tavolo le migliori soluzioni creative e strategiche e vagliare ogni opportunità di misurazione e monitoraggio per disporre di un controllo costante sull’andamento delle performance ed eventualmente pianificare tutti gli interventi di aggiustamento e ottimizzazione necessari. Ebbene sì la comunicazione e il marketing sono un working progress.

Una volta definiti gli obiettivi di comunicazione è bene soffermarsi a riflettere sulla distinzione tra i mezzi destinati all’ottimizzazione – come per esempio l’acquisto o la sostituzione dei tool per il monitoraggio e di analisi o di gestione dei contenuti, la scelta di nuovi fornitori e partner per l’affidamento di servizi esterni  – e gli strumenti di innovazione – come la pianificazione di progetti e iniziative speciali, il presidio di nuovi media e non solo pubblicitari (come un app o un sito responsive, per pensare strumenti semplici ), il lancio di progetti finalizzati all’ engagement del proprio target su piattaforme ad esempio sui social media –.

Il metodo così definito colloca il processo di budget allocation su di una mappa di posizionamento in cui le quattro variabili comunicazione/promozione e ottimizzazione/innovazione concorrono a individuare gli strumenti strategici, le attività e le iniziative per raggiungere e coinvolgere la target audience: dall’email marketing alle campagne di google, dalla display adv ai programmi di affiliate marketing, dagli interventi SEO  all’investimento in contenuti grafici-audio-video.

 

Budget B2B o B2C

Il primo aspetto fondamentale è comprendere il mercato di riferimento prevalente per l’azienda perché le scelte in termini di investimenti e attività sono completamente diverse.

Una volta definito il mercato principale di riferimento, vediamo come impostare in modo corretto questa attività partendo dalla percentuale di budget da destinare al marketing.

Alcune aziende lavorano sulla previsione di fatturato, altre utilizzano i dati del fatturato dell’anno in corso: da questo dato si determina una percentuale che rappresenta il totale del budget massimo.

Oltre al budget massimo va considerata anche un’altra voce: la riserva che servirà per le attività non preventivate e permetterà di avere un elasticità di azione ancor più determinante oggi in un mondo digitale e di business in continua evoluzione.

 

Budget marketing: come determinarne il valore?

Generalmente è una percentuale di fatturato che in media varia tra il 3% e 10%, ma sempre di più, in funzione delle dimensioni dell’azienda e della sua organizzazione interna, vengono integrate in questo budget anche le attività di comunicazione.

 

Budget marketing: come analizzare i dati per crearlo

Una delle attività più importanti è l’analisi delle attività svolte in funzione del piano aziendale dell’anno successivo.

Spesso questa analisi è determinante e occorra dividerla in 4 fasi principali

– Posizionamento dell’azienda e analisi competitor (online e offline)

– Analisi prodotti o servizi (mono o pluri target)

– Obiettivi SMART: Specific (specifici), Measurable (misurabili), Attainable (raggiungibili), Relevant (rilevanti), Time-bound (basati su un periodo di tempo definito)

– Rete di vendita e touchpoint (online e offline)

 

Budget online: le voci

Se abbiamo impostato nel modo corretto le attività analitiche, possiamo definire nel dettaglio le voci del budget di marketing online.

È molto importante dividere i servizi di consulenza e formazione dai costi fissi in advertising e software, specificando nel dettaglio anche i diversi mezzi:

– Servizi di consulenza e formazione interna

– Budget advertising puro (adv social, display, ads google)

– Budget software di support (tool di terze parti)

– Servizi esterni (consulenze, non un parente prossimo!)

Per allocare correttamente il giusto peso nelle diverse voci di marketing digitale, risulta importante analizzare le fonti di conversione degli obiettivi di Analytics rapportandole al budget investito per ogni singolo mezzo.

 

Budget marketing offline

Il budget online è spesso determinante per il marketing di oggi, ma non dobbiamo mai dimenticarci di integrarlo con il budget delle attività offline che anche se separate nelle voci di costo, devono essere integrate all’online, soprattutto per impostare la corretta misurazione dei risultati e degli obiettivi.

Anche in questo caso è bene dividere le voci di costo includendo anche quelle destinate alla fiera che spesso hanno un budget separato soprattutto per i costi di gestione (sia di viaggio che di logistica):

– Fiere ed eventi

– Riviste, quotidiani, tv, radio

– Supporto alla rete vendita (es. rivenditori)

– Prodotti omaggio (regali, gadget, ecc.)

– Sponsorizzazione (es. squadre sportive, partnership eventi ecc.)

 

Come vedi sono i numeri che fanno da padrone per le azioni strategiche e per valutare quello che la tua azienda può fare e soprattutto sostenere.

Inizia da subito a programmare e progettare l’allocazione del tuo budget e costruisci le tue strategie di marketing.

Inviaci email

budget pianifica e progetta il tuo business

Il Budget per pianificare la tua impresa

Il budget per simulare e prevedere l’andamento del tuo business

Novembre è il mese per consolidare i pensieri sul futuro delle imprese; l’anno volge al termine e ogni buona imprenditrice e imprenditore inizia a visualizzare, insieme al suo team e ai suoi collaboratori, ciò che vorrebbero realizzare nel prossimo anno.

C’è un documento che da forma, sostanza, direzione e che permette di verificare queste visioni, il Budget, che è lo strumento che targhetta l’azienda nel suo futuro e getta le basi per la materializzazione e il controllo della Vision e della Mission dell’Impresa.

Ma cosa prevediamo?

Il fatturato, i costi, le movimentazioni finanziarie e quelle patrimoniali

Il budget, è importante ricordarlo, non è un unico documento ma è composto da diversi documenti, ognuno dei quali serve per simulare e prevedere uno specifico aspetto dell’impresa.

Ma vediamo prima di fare un’analisi dei diversi tipi di documenti quali sono alcune false convinzioni che generano tante difficoltà a redigere e mantenere un Budget.

 

Innanzitutto il Budget NON contiene previsioni, questo perché è essenzialmente uno strumento di simulazione il cui valore vedremo a breve.

Oltre  a questo i valori inseriti nel Budget  NON sono assoluti e possono essere modificati nel corso dell’anno. Apportare delle modifiche in corso d’opera permette di valutare ed adeguarsi alle condizioni reali, e aggiornare ciò a cui il budget è realizzato vale a dire darsi degli obiettivi.

 La mancanza di obiettivi nel business come nella vita equivale alla mancanza di una direzione verso cui orientare le nostre forze ed attività.

Il Budget è collegato dal più ampio piano di pianificazione strategica dell’impresa. Il Budget è un elemento del Business Model e un componente del più ampio strumento del Business Plan.

Esistono diversi tipi di Budget che sono costruiti a partire dalle nostre conoscenze effettive sull’impresa legate all’esperienza reale di chi ci lavora e di chi conosce il mercato in cui opera. La mancanza di questa consapevolezza si manifesta maggiormente nel mondo delle start-up in cui spesso si creano dei Budget che, per mancanza di conoscenze ed esperienza, sono più dei voli pindarici che degli strumenti di lavoro e guida strategica e di simulazione.

Quindi, tirando le fila di quanto detto fino ad ora, il budget  permette di:

  • Aumentare la conoscenza del mio business grazie alla conoscenza nel dettaglio dei diversi aspetti della mia azienda da quello economico dei ricavi e dei costi a quello operativo e strategico
  • Fissare i miei obiettivi e indicare i valori che serviranno a verifica del loro raggiungimento, ad indicazione di quando voglio raggiungerli e di quali sono.
  • Generare risultati che in realtà non significa aver raggiunto quello che avevo indicato ma aver avuto sempre la consapevolezza di dove stavo andando e la possibilità di modificare di conseguenza il mio percorso
  • Sapere quali sono i miei costi come incidono e come gestirli per lavorare sull’efficienza della mia impresa
  • Fare simulazioni su differenti scenari e possibilità. Grazie alle conoscenze posso individuare strade alternative e soluzioni con il minor dispendio di risorse e riducendo di conseguenza i rischi.
  • Individuare priorità tra le diverse ipotesi e soluzioni individuate
  • Evitare situazioni inattese che possono determinare delle perdite pericolose per la mia attività
  • Costruire una struttura ed un team di lavoro consapevole delle motivazioni per cui sono fatte certe scelte e con chiare indicazioni sugli obiettivi e i risultati da raggiungere

Vediamo quali sono adesso i Budget principali che possiamo costruire per avere una visione completa dell’impresa e delle sue potenzialità.

Innanzitutto per la costruzione del Budget complessivo possiamo realizzare dei Budget intermedi o Budget Operativi che ci aiutano ad analizzare le singole parti dell’impresa.

I Budget operativi sono:

  • Budget commerciale 
  • Budget della produzione
  • Budget del personale
  • Budget degli investimenti

Un suggerimento che mi sento di dare per la redazione del Budget è quello di usare approccio bottom-up coinvolgendo i direttori di reparto e tutte le persone che possono avere un ruolo strategico nella sua redazione, piuttosto che un approccio top-down in cui la direzione elabora e successivamente cala il risultato nei reparti.

La preparazione del Budget si suddivide quindi (partendo dall’approccio bottom-up) in:

  • Coinvolgimento dei responsabili dei vari reparti
  • Identificazione e confronto sugli obiettivi specifici
  • Definizione delle priorità si riguardo le risorse e gli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi
  • Attivazione di un sistema di delega di responsabilità ed autonomia delle persone.

Vediamo i diversi Budget nel dettaglio:

Il primo budget che è necessario costruire è il Budget Commerciale. I ricavi dati dalla formula Prezzo x Quantità sono il punto di partenza perché è il carburante su cui l’azienda costruisce la sua prosperità e possibilità di crescita e sviluppo. Possiamo eventualmente creare altre classificazioni come le aree geografiche, le tipologie di prodotto o di clienti. Oltre alla stima delle vendite in questo Budget si inserisce anche l’elenco dei costi commerciali che sono tutti quelli sostenuti per la commercializzazione del prodotto, come la pubblicità, la promozione, i servizi post-vendita e la distribuzione.

Successivamente costruiremo il Budget della produzione, che è ovviamente legato alla quantità di prodotti o servizi che vogliamo vendere. In questo Budget stimiamo i costi per le merci e le materie prime, i costi fissi e quelli variabili legati alla produzione, l’eventuale tasso di rotazione ed il valore del magazzino. Contiene l’elaborazione dei costi necessari per produrre i volumi stimati dal Budget delle vendite. L’obiettivo di questo Budget è quello di generare una produzione adeguata ai volumi, evitare troppi costi, avere un livello di scorte sufficiente alle richieste previste.

Quando abbiamo definito la linea produttiva abbiamo quello che ci serve per stimare il personale di cui abbiamo bisogno per realizzare quando ipotizzato, per questo si va a redigere il Budget dei costi del personale.

Diretta conseguenza del Budget della produzione è il Budget degli investimenti che si genera in base alla quantità che abbiamo scelto di produrre che determina o meno la necessità di acquisire ulteriori linee di produzione che posso essere formate da nuovi macchinari e da macchinari più performanti. L’obiettivo è quello di migliorare la competitività aziendale tenendo conto dei vincoli di costi e disponibilità economiche dell’impresa. Contiene i dati che provengono dagli altri Budget come le necessità di acquisto dei macchinari e i conseguenti valori di ammortamento per suddividere il costi negli anni, la valutazione del costo di produzione e del personale produttivo, la variazione dei possibili volumi di vendita e dei conseguenti costi commerciali.

Una volta realizzati i Budget operativi possiamo passare alla redazione del Budget Economico di quello Patrimoniale e di quello Finanziario

Il Budget economico riprende i dati dei budget operativi e li riporta ai valori economici di costi e ricavi all’interno del sistema contabile dell’impresa. La sua importanza è legata al fatto di mettere in evidenza i programmi di spesa nell’anno e la verifica del raggiungimento dell’equilibrio economico tra costi e ricavi attesi.

Facciamo una piccola digressione..

Dal mio punto di vista ogni attività imprenditoriale dovrebbe fare il Budget in questo periodo dell’anno non importa di che dimensioni aziendali stiamo parlando, dal professionista nel regime forfettario fino alla grande azienda che fattura decine di milioni di euro. Chiaramente alcuni dei Budget di cui stiamo parlando non riguardano le realtà più piccole ma nelle realtà più grandi ci sarà necessità di maggiori tipologia di documenti. In ogni caso il valore di queste informazioni sta nel prendere quello che ci serve per comprendere l’importanza di questo strumento e introdurlo nelle nostre attività mensili per costruire o migliorare il sistema di programmazione e controllo che ci permette di realizzare completamente il nostro ruolo di imprenditrici e imprenditori delle nostre imprese.

Il Budget patrimoniale permette di effettuare una stima legata ai valori patrimoniali dell’impresa. In questo caso vogliamo andare a mettere a fuoco i valori che muovono i flussi di cassa. Che sono le variazioni in aumento o in diminuzione della liquidità dell’azienda che si verificano in un determinato periodo di tempo.

Nel budget patrimoniale si analizzano le rimanere di magazzino, la movimentazione dei crediti e dei debiti commerciali, le attività di finanziamento

L’ultimo Budget, che deve la sua posizione solo al fatto che è il risultato dei dati raccolti negli altri documenti, è il Budget Finanziario che consente di stimare il flusso di cassa complessivo nel periodo di tempo analizzato. L’obiettivo è quello di verificare la sostenibilità finanziaria dei programmi aziendali.

Viene creato a partire dai dati degli altri Budget:

  • Dal prospetto economico si estraggono i dati dei costi e dei ricavi
  • Dal prospetto patrimoniale si estraggono le voci di entrate ed uscite

Questo Budget è il punto di arrivo di tutto il processo di Budgeting e può a sua volta essere suddiviso in Budget delle Fonti e Impieghi dove possiamo elaborare i saldi di cassa su differenti basi temporali come il mese o il trimestre comprendendo così di quanti soldi abbiamo necessità per realizzare i nostri obiettivi e da dove vengono.

In conclusione il Budget è uno strumento che ci aiuta a mettere a fuoco dove siamo e dove vogliamo andare e, se fatto a livello di team, ci aiuta a costruire un senso di azienda in cui tutti sanno di essere parte della costruzione del futuro.

Impiegare tempo per quest’attività è sicuramente un tempo ben impiegato e dovrebbe essere segnato nelle nostre agende come attività fondamentale, importante ed urgente.

Se volete saperene di più e richiedere il nostro supporto non esitate e contattarci per approfondire il lavoro sul Budget.

 

Inviaci email

Buyer persona e customer journey

Buyer Persona e Customer Journey

Sai a chi stai parlando? Sai a chi vuoi vendere il tuo prodotto?
E a chi rivolgere il tuo business?

Si dice: “Non c’è peggior sordo di colui che non vuole ascoltare”… mi sento di metterci del mio, parafrasando: “non c’è peggior sordo di colui al quale non importa niente di quello che hai da dire/vendere etc..”

Oggi vorrei farti riflettere su un semplice dato: quando ti rivolgi a qualcuno, per avere la sua attenzione, gli parli di tutto e di più senza freni, sommergendo quel povero ascoltatore con tutte le pene e le questioni della tua vita … oppure fai un discorso ragionato, su argomenti che possano interessare il tuo interlocutore?

Ovvio : se vuoi sfogarti, scegli la prima strada, quella del “fiume in piena”, ma se vuoi un confronto costruttivo e conoscere il punto di vista altrui.. scegli la strada dell’ascolto e della comunicazione efficace.

Troppo spesso si pensa che la comunicazione sia un’ enorme rete lanciata in mare e che quanto più essa sia grande , tanti più pesci verranno pescati……….ovvero, fuor di metafora, tante più persone saranno intercettate : falso .

Abito in un posto di mare e so bene che qualunque pescatore ti dirà : “Meglio una pesca a canna per tirare su un pesce grosso piuttosto che una sfilza di reti in cui rimangono pochi pesci e piccoli”.

Perdona la digressione personale, ma il senso della comunicazione si inserisce perfettamente in questo metafora marina: se, nel tuo mare di mercato, vuoi “pescare” persone veramente interessate al tuo business e a quello che hai da dire ,devi “pescare a canna” con l’amo giusto, la lenza giusta e i giusti tempi; d’altra parte, l’errore tipico dei principianti è “pescare lanciando la rete a caso”, in un posto sbagliato, in un momento sbagliato: sebbene la rete sia grande, non pescherai di più, ma di meno e, soprattutto, pesci capitati per errore nelle tue maglie.

Avrai sentito ovunque che per fare business devi individuare il tuo target di riferimento per adeguare ad esso strategia di marketing, comunicazione, social media voice etcc..

disclaimer: ciò che viene inteso come target, non rappresenta il numero totale di futuri clienti (è il sogno nascosto e sordido di ogni consulente e di chiunque faccia business); parliamo infatti di “potenziali clienti”o prospect.

Ed ecco le prime domande cruciali:” Chi è il tuo potenziale cliente? Qual è il tuo target? “

È una riflessione da affrontare contemporaneamente alla realizzazione del tuo business: nel momento in cui stai progettando il tuo prodotto, la validazione di questo passa proprio dalla domanda: “Ma chi se lo compra? Serve veramente al mondo? Quale desiderio delle persone intercetto con il mio prodotto?”

Rispondendo a queste domande (non con al classica risposta “a me piace, lo comprerei”, ti prego!) compi il primo passo per l’individuazione del target di riferimento. Facciamo un esempio.

Prodotto da lanciare sul mercato

  • corso per diventare insegnante di yoga+percorso ayurvedico

Utilità

  • diventare insegnante di yoga è un percorso che propongono in molti, ma presso la struttura è possibile approfondire anche il percorso ayurvedico, e non solo: i discenti possono, a partire da metà percorso formativo, insegnare e fare pratica gratuitamente all’interno delle sale della struttura

Desiderio del target

  • cambiare lavoro
  • imparare a praticare lo yoga in modo professionale per organizzare corsi privati o impartire lezioni presso centri
  • dare una svolta alla propria attività di operatore olistico
  • approfondire una disciplina
  • prendersi del tempo per riflettere sulla propria esistenza e investire denaro nella propria formazione
  • acquisire skill da aggiungere al proprio profilo professionale

Ho utilizzato questo semplice e veloce esempio per farti vedere come possa essere definita l’area in cui andare a “pescare”, ma non basta. Il quadro e ancora troppo generico. Si deve scavare più a fondo, lavorando di fantasia ed immaginazione, visualizzando letteralmente la persona fisica, l’umano reale che si iscriverà al corso. In altre parole, va definita la buyer persona.

Definire la buyer persona è un esercizio molto difficile perché richiede tanta creatività e tanto senso critico: è uno dei passaggi cruciali. In questo momento, ci si può anche rendere conto che non vi è nessuno che possa essere interessato al business e che bisogna rinunciare al proprio progetto. A rendere ancora più delicata questa fase, si aggiunge, purtroppo e assai spesso, la fastidiosa e demotivante sensazione di sprecare tempo: non c’è pensiero più sbagliato.

Se invece ogni persona che fa business si soffermasse a pensare alla fisionomia del proprio buyer, costruendone il modello, arriverebbe a definire in modo chiaro che:

  • il proprio prodotto intercetta persone specifiche (micro targetting)
  • le persone intercettate hanno degli interessi peculiari
  • la comunicazione sui social deve essere declinata in un certo modo (social media voice)
  • i social da “attivare” sono solo alcuni e non altri

Ma come si costruisce una buyer persona? E soprattutto: per ogni business esiste una sola buyer persona?

Per costruire una buyer persona, devi immaginare una persona reale con nome, cognome, età, interessi e desideri (esistono tantissimi template, clicca qui per scaricarne uno, ma nessuno ti spiega come compilarlo! )e, inoltre, per ogni business esistono più buyer persona a seconda del prodotto.

Continuando pertanto con l’esempio precedente.

Target : persone che vogliono fare un corso per diventare insegnante di yoga + percorso ayurvedico, seguendo vari desideri; età dai 30 ai 55 anni ; tutti i generi.

Buyer persona 1

  • dati anagrafici: Elena, 40 anni, libero professionista
  • professione: insegnante di apnea
  • desiderio: vuole perfezionare le tecniche di respirazione e rilassamento; acquisire skill per i propri corsi di apnea
  • interessi: respirazione, rilassamento, massaggio, wellness, alimentazione, apnea, mare, ambiente, territorio, relax
  • studi: laurea e corsi di specializzazione
  • uso di internet: alto livello, sempre connessa

Buyer persona 2

  • dati anagrafici: Emanuele, 32 anni
  • professione: non occupato
  • desiderio: vuole diventare un insegnante di yoga per trasformare una sua passione in lavoro
  • interessi: yoga, naturopatia, trekking, mountain bike, alpinismo
  • studi: neolaureato
  • uso di internet: base, attivo sui maggiori canali

Buyer persona 3

  • dati anagrafici: Maria, 55 anni, manager
  • professione: manager grande azienda
  • desiderio: vuole rimettersi in gioco: il suo lavoro non le piace, è solo un modo per l’autosufficienza economica
  • interessi: yoga, massaggi, wellness, fitness, nuoto, vegetarianesimo
  • studi: laurea e corsi di specializzazione
  • uso di internet: base, attiva sui maggiori canali, ma preferisce il contatto diretto

Questi tre profili (se ne possono aggiungere altri: potere alla fantasia!) sono di aiuto per immaginare i desideri, espressi o meno, della persona che parteciperà al corso. I desideri si traducono nel marketing e nella comunicazione in leve su cui declinare la social media voice. Le attività su internet definiscono su quali social attivare le campagne e che tipo di obiettivo prefiggersi per raggiungere i contatti.

Canali e Social media voice buyer 1

  • Facebook, Instagram e Google ads
  • Linguaggio: empatico e diretto, focus sulle tecniche di respirazione
  • Obiettivo: interazione con il post

Canali e Social media voice buyer 2

  • Facebook, Instagram
  • Linguaggio: pragmatico ed essenziale
  • Obiettivo: acquisizione del Lead

Canali e Social media voice buyer 3

  • Facebook, Instagram e Google ads
  • Linguaggio: trasformazione e rigenerazione, never give up!
  • Obiettivo: risposta da acquisire durante l’ evento di presentazione del corso

Una volta” pensato” il buyer persona e ne abbiamo definito i tratti significativi di nostro interesse, a siamo già a buon punto. L’ultimo step è pensare al costumer journey.

Ti invito a questo proposito ad ascoltare il podcast sulle strategie di azione per performare al meglio il tuo marketing ed approfondire il metodo STOP , clicca sul link per iniziare l’ascolto: saranno 12 minuti del tuo tempo ben spesi, prometto!

Il costumer journey è il “viaggio del consumatore” ovvero il percorso che un buyer compie dalla conoscenza del brand – all’acquisizione del contatto – alla conversione in acquirente – alla fidelizzazione.

Voglio porre l’accento in questo approfondimento sulla lunghezza del percorso.

Quanto deve essere lungo? Dopo quanto tempo un buyer diventa acquirente?
Ci sono tante variabili da tenere in considerazione, concentriamoci per adesso sul costo del prodotto.

Se il prodotto ha un costo elevato, non posso pensare che un utente che non conosca il brand possa immediatamente convertirsi in acquirente (per quanto abbia gettato bene la mia esca): devo dargli tempo e lavorare sulla fiducia. Ma come? Tramite messaggi, post, articoli che possano coinvolgerlo, suscitando e rafforzando il suo interesse e la sua fiducia per quello che dico e propongo, tramite le leve che muovono il buyer verso il prodotto.

Una volta fatto ciò, posso iniziare a lanciare messaggi più diretti per acquisire contatti, invitarlo ad eventi, lasciando sempre un qualcosa in più “dedicato” e “pensato” a suo uso e consumo (coupon, sconti, contenuti extra scaricabili, etc).

Per quanto riguarda i tempi, considera poi che un utente, prima di un acquisto di un prodotto ad alto budget, valuta, pensa, riflette, legge, si confronta on line ed off line con amici e community : ecco perché serve una strategia ben organizzata e strutturata. In media, servono 7 punti di contatto (post, interazioni, acquisizione del lead e così via) prima che si possa pensare alla conversione del potenziale cliente in acquirente.

Mano mano che il buyer avanza nel suo costumer journey, si dice che si “riscalda” da un target freddo, che mai ha sentito parlare del tuo business, ad un target caldo che sta comprando da te. Ecco perché ai marketer piace “caldo”!

Nel prossimo podcast affronterò proprio la distinzione tra pubblico caldo e freddo e come gestire al meglio la comunicazione nei vari step del costumer journey.

Ci sentiamo presto, ci conto!

Clicca per andare al template del buyer persona

Inviaci email

Dall’ alto verso il basso e dal basso verso l’alto : prospettive di marketing

Dall’ alto verso il basso e dal basso verso l’alto : prospettive di marketing

Le prospettive del marketing: quando product orientend, quando customer -oriented, il business cambia approccio

 

Ogni volta che mi viene richiesta una consulenza, mi trovo davanti a situazioni “raggelanti”: un brivido mi sale lungo la schiena non appena sento le parole “ho bisogno di un miracolo”.

Di fatti, anche quando il cliente, magari anni fa prima, ha maturato una sua idea “geniale”, ha creato il suo prodotto, ha pensato alla catena di distribuzione, ha valutato, nella migliore delle ipotesi, di aprire una micragnosa pagina business su FaceBook, ha infine pensato alla strategia ad una efficace comunicazione, magari tramite tramite post it su tutte le superfici visibili possile … si accorge alla fine, dopo tanto impegno, che il “mitico” passaparola ha funzionato per i primi tre mesi e che si trova fornitori, dipendenti ,o peggio, entrambi da pagare e montagne di prodotti invenduti.

Ecco che allora arriva l’idea risolutiva : rivolgersi ad un consulente di marketing che sicuramente risolverà ogni problema e che con le sue conoscenze e il suo tocco magico cambierà le sorti dell’azienda.

Oltre al fatto che il consulente si sente Mago Zurlì con responsabilità degne di un Dio creatore dell’universo… le azioni che egli può compiere sono in funzione di ciò che è stato seminato in precedenza, ovvero molto poco: un prodotto calato dall’alto, senza ascolto del mercato, senza valutazione dei costi e senza una vera e propria base progettualità né di mercato, né tanto meno di comunicazione.

Benvenuto allora nel mondo della consulenza di business, marketing e strategie di brand.

Certo, non voglio apparire caustica e non sempre la situazione è così disperante : negli anni, ho assistito alla maturazione, sulla via della consapevolezza, di clienti che si rendono conto dei propri limiti e prima di buttarsi ..chiedono “una rete di sicurezza” per lavorare al meglio e non compiere le scelte sbagliate.

Oggi, il mio intento è di farti capire, da errori ed orrori che ho visto con i miei occhi, come iniziare a fare business nel modo migliore e, soprattutto, “ragionato”.

Iniziamo con un cambio di prospettiva: la rivoluzione copernicana delle strategie di marketing.

Quando parlo di “calare dall’alto” un prodotto, è mi riferisco alla prospettiva datata e ,per giunta,errata errata secondo la quale si riteneva sufficiente che un prodotto fosse presentato in modo efficace dalla pubblicità in tv, sui giornali o anche a scala territoriale dentro a editoriali di piccola distribuzione perché i possibili fruitori si convincessero che fosse un prodotto “buono e giusto”: di fronte a tanta qualità, utilità ecc ,che cosa fare se non procedere all ‘acquisto, seguendo quella vocina interiore che sussurrava suadente : “Ne hanno parlato in Tv”.

In altre parole, il prodotto era al centro del sistema di mercato; seguiva un buon packaging e il gioco era fatto.

La strategia adottata dalla Kellogg’s (famosa marca di cereali) è esemplare in tal senso:ancor prima di far partire la catena di produzione di una nuova linea di cereali colorati e dalle forme accattivanti, comprò spazi pubblicitari sui maggiori canali; il risultato fu che in pochissimo tempo la richiesta si rivelò maggiore rispetto alle aspettative e l’azienda dovette affrettarsi a dare il via alla catena di produzione e a potenziarla

Questa tecnica di immissione di un prodotto sul mercato è dall’alto verso il basso. Produttiva sicuramente in passato, oggi essa porta con sé inesorabili fallimenti. Torniamo quindi al presente e alla vita del consulente d’azienda che deve fare i conti con una situazione analoga: se il prodotto è costituito da meravigliose tazze a forma di animali della foresta,realizzate interamente a mano (con costi di produzione altissimi); se la commercializzazione non prevede un servizio di vendita on line; se il target è stato testato su uno stuolo di parenti che hanno commentato “bellissime, grazie mille per questo splendido regalo di Natale” …beh, l’unica considerazione possibile è che anche ad un’idea valida, come quella appunto delle tazze artigianali a forma di animale , non è assicurato il successo nella vendita, se essa non viene confrontata con le esigenze e la tipologia dell’acquirente

Sono molte le variabili quindi di cui tener conto, se si vuol vendere un prodotto e forse può essere utile ripercorrere le tappe che hanno portato ad una completa evoluzione delle strategie di mercato

 

Philip Kotler, padre della traduzione in metodi pratici delle strategie di marketing e business, riprende le quattro variabili dell’attività di marketing product-oriented introdotte da E. Jerome McCarthy nel 1960 (notare bene 1960!!!), ovvero le 4P

– Product (prodotto)
– Price(costo)
– Place (luogo di vendita,distribuzione)
– Promotion (promozione e comunicazione)

destinate poi ad essere integrate nel tempo (necessariamente) con altre 3 P:

– People (persone appartenenti ad uno stesso target o ad un target correlato)
– Process (processo produttivo)
– Physical Evidence (valutazione del cliente )

Il cambiamento di prospettiva del mondo del marketing si avverte però solo nel 1993 quando Robert F. Lauterborn sposta il focus dalla prospettiva dell’impresa a quella del cliente, trasformando le “4P” in “4C”:

– Consumer (cliente)
– Cost (prezzo)
– Convenience(convenienza)
– Communication(comunicazione)

Oggi, infine, con lo sviluppo dell’e-commerce e del marketing digitale, si è avvertita la necessità di introdurre altre due fondamentali leve di marketing, portando così il loro numero a sei

– Community
– Content (contenuto)

Ti faccio notare come nel sistema delle 6C il modello di pensiero sia customer-oriented ma non basta: è per questo che ti invito ad ascoltare il mio prossimo podcast in cui parleremo ampiamente di questo passaggio e non solo, ti metterò a disposizione delle schede per poter analizzare il tuo business e capire se sei un 7P o un 6C!

Quando un prodotto viene immesso sul mercato solo una volta che si sia “ascoltato” il target di riferimento e che si siano intercettati i desideri ed i pensieri delle persone possibili acquirenti ..allora, e solo allora il business avrà una buona base di partenza.

Quindi devo pensare o creare il prodotto solo dopo aver ascoltato il mio target di riferimento all’interno di una community, nei social media, nei commenti in blog , nei siti specialistici, e dopo un’ attenta analisi dei competitor ? “ Ebbene, sì .


E se il prodotto che ho in mente non viene mai menzionato e nessuno ne parla, e nessuno esprime una men che minima volontà o desiderio di un prodotto similare a quello che sto per lanciare sul mercato come un razzo a Cape Canaveral …allora è un’idea geniale! E se non esiste ancora al mondo ed io sono il suo inventore, allora farò i soldi!!!” Certo che no..

O meglio, : ci sono rari casi in cui questa possibilità sia reale, ma si contano sulla punta delle dita. Il più delle volte è “no”.

Mi dispiace spengere i razzi al tuo shuttle pronto ai blocchi di partenza, ma fermati e rifletti. Non calare il tuo prodotto dall’alto: ascolta il “basso”, fiuta il mercato, fai analisi, perdi le tue ore a setacciare la rete (o fallo fare a me come consulente:sono io la tua rete di salvataggio), crea un’immagine mentale delle persone che potranno acquistare il tuo prodotto, immedesimati in loro e nelle loro emozioni e stati d’animo nell’avere il tuo prodotto ed usarlo.

Una volta fatto questo, e validato il tuo business, passiamo al racconto. O come si usa dire tra i tecnici, allo story telling. Raccontare una storia, far innamorare ed appassionare alla produzione di un oggetto (o di un servizio) è una delle parti più potenti della rivoluzione copernicana del marketing customer-oriented.
Viviamo in un’epoca in cui il venditore “porta-a-porta” non esiste più, quindi devi adottare tecniche di marketing nuove, diversificate, creative (tanti esempi li trovi nel mio approfondimento sul marketing non convenzionale) e far emozionare il tuo mercato.

Dall’alto ormai si calano solo i maccheroni in un famoso film con Alberto Sordi (“Un americano a Roma”) e parafrasando : “Marketing m’ hai provocato ? E io te distruggo !”

Inviaci email

La Gestione per realizzare di “Grandi Cose”

La Gestione per realizzare di “Grandi Cose”

La gestione della pianificazione, organizzazione e attuazione per raggiungere gli obbiettivi e realizzare “Grandi Cose”

 

La persona che oggi ci ha ispirato è Peter Ferdinand Drucker, saggista ed economista austriaco, uno dei grandi maestri della Gestione per Obiettivi e descritto da molti come “il fondatore della gestione moderna”.

 

Oggi vediamo quello che, secondo Drucker, deve fare un direttore esecutivo per essere in grado di realizzare grandi cose all’interno dell’impresa in cui opera. Le attività che Drucker racconta, in relazione alla figura del Direttore Esecutivo, possono essere applicate anche alla figura dell’imprenditore nelle piccole e medie realtà in cui riveste il ruolo di chi organizza e gestisce l’impresa.

Vediamo subito quelli che sono gli aspetti che rendono un direttore/imprenditore o una direttrice/ imprenditrice veramente efficace:pianfica e gestisci le tue attività

  1. Domandarsi “Cosa deve essere fatto?”
  2. Pensare a “Cosa è giusto per l’impresa?”
  3. Sviluppare un piano d’azione efficace
  4. Assumersi la responsabilità per ogni sua decisione
  5. Definire e applicare le modalità e le attività di comunicazione
  6. Essere focalizzato sulle opportunità piuttosto che sui problemi
  7. Saper svolge meeting produttivi
  8. Pensare in termini di “Noi” invece che di “Io”

Possiamo suddividere queste otto punti in tre segmenti:

  • Le prime due pratiche: cosa deve essere fatto e cosa è giusto per l’impresa servono per avere la conoscenza di quello di cui c’è bisogno.
  • Le successive quattro: il piano d’azione, la responsabilità per le decisioni e per la comunicazione e la focalizzazione sulle opportunità piuttosto che sui problemi servono a convertire la conoscenza in azioni efficaci.
  • Gli ultimi due elementi legati ai meeting produttivi e al senso di gruppo assicurano che tutta l’organizzazione si senta responsabile e coinvolta.

Prima di addentrarci nell’analisi delle otto pratiche però faccio una digressione su due principi che è importante tenere sempre a mente quando parliamo di gestione e organizzazione che sono i principi di efficacia ed efficienza.

L’efficacia fa riferimento alla capacità di conquistare un obiettivo prefissato, mentre l’efficienza si riferisce alla capacità di farlo grazie all’impiego delle risorse minime indispensabili. Le possiamo riassumere un una frase:

Siamo efficaci ed efficienti quanto raggiungiamo il massimo risultato spendendo il minimo necessario.

Vediamo adesso le otto pratiche che suggerisce Drucker.

La prima attività consiste nel domandarmi cosa è necessario fare. Prendo questa domanda molto seriamente perché è la domanda cruciale per il successo manageriale. Fallire nel rispondere rende il lavoro inefficace con tutte le conseguenze che ne conseguono.

Un Importante aspetto da sottolineare è che la domanda NON si focalizza su “Cosa voglio o posso fare”, ma cosa c’è bisogno di fare.
Spesso la risposta a questa domanda contiene delle urgenze a cui è necessario rispondere. Quindi nella mia organizzazione penso prima alle cose urgenti per poi trovare il tempo per le cose importanti ma non urgenti. Rimanere focalizzati e concentrarci su un obiettivo alla volta, per quanto possibile, è l’approccio che ci porta alla realizzazione di quello che desideriamo. Focalizzarci su più di due obiettivi per volta rende molto difficile rimanere efficaci nelle proprie scelte e per questo è importante definire delle priorità e rimanere concentrati su di esse. Come ad esempio definire che voglio servire.

Per riuscire a gestire più obiettivi ho la necessità di creare un buon processo di delega di responsabilità.

Quando  raggiungo l’obiettivo e prima di passare al successivo, è importante dedicare tempo per analizzare quello che è successo ed è stato registrato (ho registrato le attività ed i loro risultati?). In questo modo posso verificare le nuove conoscenze, i punti di forza e di debolezza e come questi influenzano le scelte successive.

Questa analisi permette di creare un circolo virtuoso in cui ad ogni passaggio grazie alla ricerca del miglioramento e di nuove soluzioni.

Il secondo passo è rispondere alla domanda “E’ la cosa giusta per l’impresa?”. Riuscire a pensare all’interesse dell’impresa come un unico essere piuttosto che agli interessi personalistici di alcuni gruppi è un atteggiamento fondamentale per gestire l’attività in maniera efficace. Questo lavoro permette di costruire una visione d’insieme da comunicare a tutti e permettere così di riconoscersi sotto un’unica visione e missione comune. È questa la base che mi servirà per fare una comunicazione efficace e permettere alle persone di riconoscersi nell’impresa.

il passo successivo è quello di scrivere un piano d’azione.  Nella puntata sul time management (che se non hai sentito ti invito a fare appena possibile) abbiamo analizzato come scrivere un piano d’azione.

Gli imprenditori e le imprenditrici sono persone fattive, per loro la conoscenza è inutile fino a che non è trasformata in azione.

Desiderano risultati, analisi, valutazioni, e attività con cui impiegare al meglio il loro tempo.

“Cosa ci aspettiamo nei prossimi 18 mesi? – A quali attività dedicherò la mia  attenzione? Sono accettabili? Porteranno i risultati attesi? ” queste sono alcune delle domande che determinano il piano d’azione che vogliamo realizzare.

Ricordiamoci però che il piano d’azione è una dichiarazione d’intenti piuttosto che un impegno effettivo. Questo perché come abbiamo visto precedentemente dovremmo leggerlo e modificarlo molto spesso a mano amano che svolgiamo le nostre attività e raccogliamo dati di risultato. Il piano d’azione è quindi uno strumento flessibile.

Adesso che abbiamo messo insieme tutti gli elementi di analisi è giunto il momento di passare all’azione.

Per assumersi la responsabilità delle proprie azioni è importante seguire alcuni principi:

  • Una decisione non è presa prima che le persone siano informate
  • Abbiamo stabilito chi sarà responsabile della sua realizzazione
  • Abbiamo stabilito delle scadenze
  • Sappiano quali sono le persone che saranno influenzate dalla decisione ed è importante che anche loro lo sappiano, e comprendano e approvino quello che sta per accadere
  • Anche e persone che non subiranno direttamene la decisione devono essere informate sulle conseguenze che saranno generate

Spesso quello che si osserva è che le decisioni non hanno prodotto i risultati attesi perché a compiere certe attività sono state messe persone non competenti a riguardo, ma è responsabilità di chi dirige saper valutare e scegliere chi è più adatto a certe attività, o in alternativa farsi aiutare da chi ne ha le capacità.

Questo flusso di informazioni è strettamente legato al fatto di comunicare in modo da essere sicuri che i piani d’azione e le informazioni necessarie siano comprese.

Condividere i piani domandando commenti e feedback a tutte le persone coinvolte permette di esser sicuri di quali informazioni siano necessarie per realizzare quanto previsto.

Le aziende sono tenute insieme dalle informazioni che circolano piuttosto che dalle attività e dalle procedure.

Focalizzarsi sulle opportunità piuttosto che sui problemi è uno dei maggiori punti di forza che possiamo acquisire.

Ovviamente l’attività di problem solving è necessaria ma ha lo scopo di prevenire i danni, mentre esplorare opportunità ha la potenzialità di produrre risultati innovativi.

Trattare una minaccia come opportunità avviene se facciamo attenzione:

  • Ai successi inaspettati o ai fallimenti inattesi
  • Alla distanza tra quello che potrebbe essere e quello che in realtà è, sia a livello produttivo, che di processi e di servizi quindi prestando attenzione  all’innovazione di processo di prodotto o di servizio
  • Possiamo prestare attenzione ai cambiamenti del mercato di riferimento o delle modalità produzione
  • Ci possiamo far ispirare dal cambiamento degli aspetti demografici
  • Dal cambio di mentalità (pensiamo ad esempio al recente incremento nell’uso di strumenti online di comunicazione)
  • Acquisendo nuove conoscenze o nuove tecnologie.

Un Aspetto pratico che possiamo attivare nelle nostre attività è quello di redigere, ai fini di controllo, un report mensile legato alle attività e alle scelte aziendali in cui, nella prima pagina, inseriamo un elenco di opportunità che abbiamo individuato nel mese.

Adesso parliamo dei meeting.

Svolgere un meeting in modo produttivo è come usare un balsamo risanante e rinvigorente per tutta l’azienda.

Innanzitutto partiamo considerando meeting anche una conversazione tra due persone. Per ciò cerchiamo di rendere produttivo anche questo semplice scambio.

Rendere un meeting produttivo significa fare si che sia una sessione di lavoro piuttosto che un ring in cui le persone di affrontano.

La chiave per rendere un meeting produttivo è quella di decidere in anticipo che tipo di meeting sarà.

Anche in questo caso il buon Drucker ci viene in aiuto definendo diverse tipologie di meeting:

  • Un meeting in cui preparare delle dichiarazioni e delle azioni in questo tipo di meeting deve essere preparato, da una persona incaricata, uno schizzo del documento da approvare e alla fine del meeting sempre la stessa persona avrà la responsabilità di redigere il documento e distribuirlo.
  • Un meeting in cui facciamo annunci come ad esempio cambi organizzativi. In questo caso il meeting deve essere limitato all’annuncio e alla sua discussione,
  • Un meeting un cui sono esposti i dati di una sola persona in questo incontro saranno discussi solamente i dati riportati.
  • Un incontro con vari report da diverse persone in questo incontro la presentazione di ogni persona deve essere contenuta in un tempo limitato con l’aggiunta di un tempo per domande e chiarificazioni. In alternativa per ogni report ci può essere una breve discussione di team. In questo caso i report devono essere distribuiti in anticipo per permettere a tutti di conoscerne i contenuti. Il tempo di presentazione dei report dovrebbe essere al massimo di 15 minuti.

Un buon follow up è altrettanto importante. Quando un incontro è finito è molto utile creare un documento che riassuma l’andamento del meeting le informazioni e le decisioni che ne sono risultate.

Questo compito spetta a chi gestisce i meeting con il suggerimento però di richiedere l’aiuto di altre persone per raccogliere le informazioni durante l’incontro.

L’ultimo aspetto è quello in cui un imprenditore, imprenditrice o manager, non si esprime dicendo “IO”, ma  parla e pensa in termini di “NOI” come organizzazione.

L’imprenditore o l’imprenditrice ha la responsabilità su quello che avviene ma questa è legata alla fiducia che ha verso la propria organizzazione. E pensare alle opportunità e ai bisogni dell’impresa prima che ai propri sviluppa un senso di gruppo e di collettività.

Riuscire a gestire tutti gli aspetti suggeriti da Drucker non è sicuramente facile all’inizio, ma affrontando un punto alla volta e renderlo parte della nostra attività farà si che in breve tempo molte cose inizieranno a funzionare in modo differente.

Se vuoi confrontarti e capire come mettere in pratica questi suggerimenti puoi scriverci o chiamarci. 

Inviaci email

Le strategie di marketing più comuni

Le strategie di marketing dalle più datate alle più recenti e performanti

Le strategie di marketing più utilizzate dai brand più famosi

 

Il marketing convenzionale, in “punta di piedi” e “non convenzionale”: dall’analisi del brand fino alle tecniche più efficaci e alternative

 

Quando vuoi vendere il tuo prodotto, come fai?
Fai del tuo business una strategia, o sei un venditore “porta-a-porta”?

On line troverai strategie di vendita e guru che ti dicono che è meglio la “loro” strada piuttosto che quella che stai seguendo.

Vorrei rassicurarti nel dirti che prima di mollare tutto al guru di passaggio o di scaricare mille documenti sul marketing e sulla strategia di vendita… leggi questo articolo e verifica il tuo business: di seguito trovi le diverse strategie di marketing utilizzate dai più grandi brand esistenti e validate dai successi che essi hanno raggiunto all’interno del loro business.

Marketing “tradizionale”

Per promuovere un brand o un prodotto, la prima strategia di marketing che si presenta alla mente è la pubblicità in televisione, sui giornali, alla radio perché è quella a cui sei abituato fin da piccolo.

È il cosiddetto marketing dell’interruzione o interruption marketing, tecnica della grande famiglia dell’outbound marketing, ormai datata e fastidiosa perché, come indica il termine stesso, “interrompe” quello che l’utente stava facendo/guardando/leggendo.

Altre tecniche di interruption marketing  altrettanto datate e fastidiose (nonostante ancora utilizzate da alcune agenzie) sono il telemarketing e i call center.

Perché allora, per esempio, in Tv vedi ancora passare pubblicità?

Perché anche lo spot televisivo  si è adeguato al contesto; per esempio, durante la partita di calcio dei mondiali le pubblicità che passano sono quelle relative a macchine, beauty, sport, health, spot la cui  core area comunicativa è in linea con le persone che sono collegate a vedere la partita e quindi, possibili clienti reali. Non solo: la comunicazione dello spot televisivo è diventata coinvolgente, empatica e fortemente emozionale. Insomma anche bella da vedere.

Quindi a meno che tu non abbia a disposizione un ampio budget per creare pubblicità degne di Cannes … questa strada non è così raccomandabile.

Marketing del consenso

In opposizione all’interruption marketing, Seth Godin introduce il marketing del consenso o permission marketing. Si tratta di una strada molto interessante perché sarà l’utente a scegliere se ricevere notizie, comunicazione, e-mail, aggiornamenti relativi alla tua azienda o ad un prodotto che gli interessa.

La strategia da costruire deve avere allora come scopo quello di indurre l’utente ad accettare volontariamente comunicazioni da parte dell’azienda, perché interessato ai contenuti si dilegua che quest’ultima esprime ed intende condividere.

Ed arriviamo al content marketing ( marketing dei contenuti) : se un brand propone solo una comunicazione uni-direzionale con il solo obiettivo di vendere, l’utente si dilegua (reazione classica davanti al venditore “porta a porta”).

Se, invece, il brand inizia a strutturare la propria comunicazione sviluppando contenuti di qualità, in modo empatico con i proprio possibili clienti allora saranno essi stessi a voler seguire il brand e a voler interagire iscrivendosi alla newsletter, o al canale you tube o ad essere follower sui canali social attivi (chiudendo il cerchio con il permission marketing).

Questo “cerchiocontent marketing-permission marketing è complesso  perché implica molto lavoro creativo e abili strategie comunicative per attirare gli utenti ..ma sicuramente puoi ottenere ottimi risultati.

 

Marketing in “punta di piedi”

Marketing del permesso + il content marketing , costituiscono una comunicazione non invasiva, ma non per questo meno efficace. Come teorizzato da Godin, questo tipo di comunicazione gentile funziona di più e meglio rispetto ai messaggi urlati ai quattro venti.

Per visualizzare questa strategia pensa ad un imbuto suddiviso in sezioni. Perché imbuto? Perché all’inizio parli a tanti ,ma, mano a mano che la strategia  prende forma, il numero dei destinatari si assottiglia, fino a ridursi sensibilmente : in pochi rimarranno fino alla vendita. Nella parte alta più larga dovrai parlare a più persone possibili (interessate potenzialmente al tuo brand e al tuo prodotto) ed “attirarle” a seguirti e a divenire “spontaneamente” parte della tua fan base.

Qui il tuo pubblico ascolta quello che hai da dire perché è interessato ai tuoi contenuti, perché offri loro notizie interessanti, rubriche tematiche nuove e coinvolgenti. Hai catturato la loro attenzione ma attenzione a parlare di vendita!

Scendiamo nell’imbuto e le persone che prima ti ascoltavano (permission marketing) ed erano interessate a quello che stavi dicendo (content marketing) vengono naturalmente portate a compiere un’azione nei confronti del tuo brand (scaricano una risorsa che hai messo a disposizione, scaricano dal sito il catalogo dei tuoi prodotti, chiedono informazioni sul punto vendita). Hai interessato qualcuno al tuo prodotto perché hai acquisito credibilità. Adesso puoi proporre qualcosa: un sconto, un coupon, un servizio extra sul primo acquisto. Stai ancora offrendo risorse non stai ancora vedendo!

 

Scendiamo ancora : quei contatti che si sono interessanti e che hanno chiesto lo sconto adesso sono pronti all’acquisto.

Usciamo dall’imbuto e spesso si compie il FATAL ERROR del marketing: una volta avvenuta la vendita… salutiamo il cliente e “tante care cose”. Una volta acquisito il cliente questi va letteralmente “coccolato”  perchè lui stesso spontaneamente e in “punta di piedi” diventi il brand Ambassador, lo sponsor, il divulgatore del valore del nostro brand o prodotto. Un cliente che non si sente unico e prezioso ..sono due clienti persi!

 

Marketing non convenzionale

Per quanto le tecniche di comunicazione canoniche siano efficaci, se ben pensate e costruite,  sono piuttosto standardizzate ed il tasso di conversione da utente a cliente è basso rispetto a tecniche di marketing pensate fuori dagli schemi.

Il cambiamento di prospettiva necessario per attivare le tecniche di marketing non convenzionale (che potrai trovare spiegate con esempi pratici  nel Podcast in uscita venerdì) è “il marketing non è più per il target , ma è costruito dal target”.

Il consumatore diviene prosumer ( def: Il destinatario di beni e di servizi che non si limita al ruolo passivo di consumatore, ma partecipa attivamente alle diverse fasi del processo produttivo): egli esce dal ruolo passivo di consumatore di beni e fruitore di servizi, ma è partecipe delle diverse fasi del processo produttivo. In sostanza , egli è parte stessa del brand  di cui si fa porta voce e in cui si riconosce

 

Il brand ha quindi il dovere sempre più impellente di ascoltare il proprio pubblico e creare contenuti in linea con gli interessi di questo per generare engagement e coinvolgerlo nella costruzione del brand e dei valori.

Il focus è: come i prodotti possano far vivere determinate esperienze a li acquista.

Da questo concetto chiave prendono forma campagne di marketing coinvolgente in cui il target vive in prima persona ed è il protagonista dell’esperienza.

Ecco alcuni esempi:

 

Il concorso lanciato da San Carlo che invita i consumatori a creare il proprio gusto di patatine.
Fonte: San Carlo

Iniziativa di unconventional merkting attuata da Coop’s Paints. Fonte: Delnext.com

Una panchina del Madison Square Park di New York privata della seduta e con il logo Nike. L’invito è chiaro: corri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le strategie di marketing sono diverse ma tutte hanno al centro l’utente finale e le sue necessità.

Prima di tutto, quindi, pensa al tuo possibile cliente, pensa a quello che gli serve e se fossi tu stesso il “possibile cliente”…come vorresti che un brand si rivolgesse a te?

Sei un creativo, pensi fuori dagli schemi: avventurati nel marketing non convenzionale e fatti vedere.

Se non lo sei, non importa: abbi sempre cura dei tuoi contenuti, del tuo target e usa l’imbuto!

 

 

Inviaci email